Nel 2008 in provincia +53% sulle presenze italiane, +7% su quelle complessive. E ci sono margini di miglioramento. MilanoSoffia un vento gelido nei viali fra i padiglioni della Fiera milanese di Rho-Pero nel primo giorno della Bit, la Borsa internazionale del turismo. E anche all'interno, fra gli stand, l'ambiente surriscaldato non basta a nascondere un clima reso ugualmente freddino – in termini di presenze – da un altro vento, quello della crisi globale che non risparmia certo un settore esposto come quello dei viaggi e delle vacanze. Che sono poi la prima cosa su cui taglia, totalmente o parzialmente, chi fa fatica ad arrivare a fine mese.

Eppure questo vento di crisi sembra gonfiare (e almeno in parte lo fa davvero) le vele del turismo che si presenta, numeri alla mano, in palese controtendenza rispetto a uno scenario che ha visto il comparto turistico mondiale perdere l'1% negli ultimi sei mesi del 2008, per scendere nel 2009 – prevede il Wto, l'Organizzazione mondiale per il commercio – di valori oscillanti tra uno e due punti percentuali. In Italia, poi, le cose vanno ancora peggio, come risulta da un'indagine presentata ieri alla Bit da Isnart-Unioncamere (Istituto nazionale di ricerche turistiche): nel 2008 le partenze degli italiani sono state 146 milioni e mezzo (con un calo del 5,6% rispetto ai 155,2 milioni del 2007) delle quali 4.650.000 hanno avuto come meta la Lombardia, che di suo chiude l'«annus horribilis» con un lusinghiero saldo attivo del 12,5%. Eppure sparisce di fronte al dato bergamasco, perché le 573.652 partenze che hanno avuto come meta la nostra provincia comportano un aumento addirittura del 53,6%. Un vero e proprio «boom», che forse – si diceva – trova in parte la sua spiegazione proprio con la crisi. Nel senso che le ristrettezze economiche potrebbero aver spinto molti vacanzieri a scegliere mete vicine, e la può contare in questo senso su un'offerta appetibile come rapporto qualità-prezzo («Non abbiamo Cortina – dice il presidente di Turismo Bergamo Felice Spampatti – ma cerchiamo di essere più competitivi che possiamo sulla nostra fascia di mercato») e su un potenziale bacino d'utenza come . In questa direzione, del resto, si orienta il trend delle vacanze natalizie, i cui numeri eccezionalmente positivi si riconducono al 90% – spiega Demetrio Tomasoni di Turismo Bergamo, l'agenzia provinciale per la – a quello che viene definito «turismo di prossimità». «Anche se poi – prosegue Tomasoni – grazie all' per noi è diventato turismo di prossimità anche quello proveniente da Londra e da Parigi, che si trovano a un'ora d'aereo».

Ma crisi e turismo di prossimità spiegano solo in parte un fenomeno che la ricerca Isnart – condotta su base nazionale – fotografa a propria volta solo parzialmente. Un fenomeno che nel 2008 ha portato nella Bergamasca circa due milioni di , con un incremento del 6-7% rispetto a un 2007 che già aveva fatto registrare un +11%. E che ha una voce fondamentale nella componente straniera. Americani, prima di tutto, perché dagli States arrivano estimatori attratti da aspetti della nostra terra spesso sconosciuti agli stessi bergamaschi.

Ma proprio ieri, alla Bit, è stato aperto un canale importante anche con il Brasile, dove potrebbero aprirsi nuovi orizzonti. E poi c'è l'Europa, naturalmente: Turismo Bergamo ha lanciato una massiccia campagna di in dieci fra aeroporti e centri commerciali del Vecchio continente, e ha ottenuto grandissimo successo con un progetto lanciato all'università di Aarhus, in Danimarca. La realtà, insomma, è che il prodotto Bergamo «tira» su scala mondiale, «anche perché – spiega Spampatti – abbiamo il vantaggio dell'aeroporto, che nessuno ha così vicino alle montagne. Da qualsiasi punto d'Europa, un turista può partire alle 10 del mattino ed essere alla due del pomeriggio all'impianto di risalita con gli ai piedi: un'ora e mezza al massimo di aereo, altrettanto per raggiungere la località prescelta, un'altra ora per cambiarsi e prepararsi, e il conto è presto fatto…».

Eppure il bello è che esistono ancora quelli che lo stesso Spampatti riconosce come «margini di crescita spaventosi», sottolineando che d'altra parte «Bergamo ha sempre fatto industria, mai turismo». Come a dire che proprio ora, con la crisi dell'industria, il turismo potrebbe essere anche una via privilegiata per garantire livelli occupazionali altrimenti destinati a fare i conti con brusche frenate. Certo, questi margini vanno esplorati e messi a frutto fino in fondo. A cominciare dagli aspetti più banali, ma decisivi, come la segnaletica stradale. Perché a un inglese che si perde per , le vicine all'aeroporto servono a poco. Oppure la formazione del personale, perché un turismo straniero di massa indica un'adeguata conoscenza almeno della lingua inglese. Che solo di recente, tra l'altro, ha fatto la sua comparsa sui menu dei ristoranti, e neppure dappertutto: ed è un passo fondamentale perché l'ospite possa almeno farsi capire indicando ciò che ha scelto.

E poi, più in generale, superando lo scoglio di quella vocazione localista e individualista che fa parte del nostro Dna, soprattutto in certe zone della provincia, e che finisce per ostacolare e addirittura penalizzare anche iniziative di ampio respiro come i consorzi e come la stessa Turismo Bergamo. Perché l'unione delle risorse e delle idee è ormai più indispensabile che utile, a fronte di un panorama che propone sì un'allettante domanda globale, ma anche una pericolosa concorrenza altrettanto globale.

Piero Vailati – L'Eco di Bergamo