miti_loghino_thumbnailDoccia fredda per le 72 lavoratrici. Il sindacato: faremo di tutto per tutelarle. Il presidente Polli: scelta dolorosa, trattativa in corso con un gruppo lombardo. Ancora una chiusura «pesante» in vista per la : la , specializzata in indemagliabili ed elasticizzati, una delle aziende storiche insieme all'adiacente Val Brembana, chiuderà la sede di Zogno entro settembre, mantenendo ancora attiva la succursale di .

Una doccia fredda per i 72 dipendenti, la cui gran parte sono donne: l'azienda, che da tempo pativa un sensibile calo degli ordini ed era anche in sofferenza per la crescita esponenziale dei costi (non solo della produzione ma anche dell'energia), dopo un periodo di provvedimenti tampone (come la cassa integrazione dello scorso anno e la cassa in deroga inaugurata solo un mese fa) ha preso la decisione definitiva: «Ho scelto di delocalizzare la produzione chiudendo il sito di Zogno – spiega il presidente della Miti Leonardo Polli -, e lo faccio con un dispiacere enorme perché la mia famiglia produce tessuti in Valle Brembana da oltre cent'anni. Purtroppo però le condizioni di mercato sono diventate impossibili e mi sono deciso a questo passo estremo». Così, mentre il finissaggio resterà a Urgnano (circa 130 dipendenti) la verrà trasferita in Ungheria, non lontano dal confine con l'Austria, vicino al lago Balaton. Al sindacato la proprietà ha però promesso di tentare ogni strada per rendere meno pesante l'impatto occupazionale, anche attraverso incentivi all'esodo, mentre lo stesso Polli rivela di avere in corso una trattativa importante «con un gruppo lombardo non del settore, però interessato a rilevare l'azienda». Anche se l'imprenditore non prevede tempi brevi per la conclusione del negoziato («potrebbe essere entro la fine dell'anno») nel caso di una cessione, Polli prevede «che buona parte del personale potrà essere riassorbito».

Intanto però, per dipendenti e sindacati resta lo choc della chiusura, che si materializzerà alla fine dell'estate: domani mattina è prevista l'assemblea mentre un nuovo incontro con l'azienda è già stato fissato per l'11 giugno nella sede di Confindustria . «Si tratta di un colpo durissimo – spiega Ennio Cornelli di Filtea Cgil – per certi versi abbastanza inspiegabile perché solo un mese fa avevamo fatto questo accordo sulla cassa in deroga che coinvolgeva a rotazione metà del personale. È l'ennesima doccia fredda per un territorio che da un po' di tempo vede solo chiusure». Il sindacato, garantiscono anche Raffaele Salvatoni di -Cisl e Luigi Zambellini di Uilta-Uil, farà di tutto per salvaguardare i posti di lavoro: «Batteremo tutte le strade possibili: la proprietà si è resa disponibile a soluzioni condivise, ma a questo punto anche le istituzioni dovranno fare la loro parte».

A meno di ripensamenti della proprietà, adesso è proprio la futura ricollocazione lo scoglio più difficile (senza però dimenticare l'ipotesi cessione paventata da Polli) «perché siamo in presenza per la stragrande maggioranza di donne – ricorda il sindacato – ancora troppo giovani per la pensione, ma che in parecchie hanno già famiglia e dei figli, quindi difficilmente trasferibili in località lontane da Zogno». Due di loro però avrebbero già manifestato al sindacato l'intenzione di accettare la mobilità volontaria, quindi il problema riguarda oggi 70 lavoratrici.

L'azienda, che produce soprattutto abbigliamento sportivo (per ciclisti ed altri atleti) ha motivato la decisione «con un calo del mercato che ha raggiunto punte del 50%, e una fortissima pressione sui prezzi che ci ha costretto a gettare la spugna». A proposito di costi, quello dell'energia (i telai consumano moltissimo) ha pesato molto sulla scelta di delocalizzare «se si pensa – spiegano ancora alla Miti – che l'energia in Ungheria costa il 35% in meno che in Italia, mentre un operaio italiano guadagna come 5 ungheresi».

Maurizio Ferrari – L'Eco di Bergamo