16, il vescovo a : È il segno della Passione ma anche dell'amore di Dio per l'uomo. S. Giovanni Bianco «Ho accettato quest'invito consapevole dell'importanza della celebrazione che state vivendo. Nel mondo sono pochissime le comunità che hanno una reliquia così preziosa». Piacciono a monsignor Beschi queste devozioni popolari come quella per la Sacra Spina che trafisse il capo di Cristo. Bisogna capirle bene, però, le reliquie: «Le stesse devozioni più preziose, come questa che custodite – dice – sono messe alla prova della vita».

Noi di solito ragioniamo così: da una parte c'è l'esistenza quotidiana, con le sue fatiche e le sue gioie, il lavoro, il cibo da preparare, i figli e i vecchi da curare. Siccome tutto questo non basta, ogni tanto si chiude la porta di casa e si va in chiesa a fare qualcosa di «religioso». Ma a questo modo i conti non tornano, la vita resta «esposta a una fragilità che diventa spesso smarrimento e qualche volta disperazione» dice il vescovo. Una fede che «fosse ricondotta solamente alle celebrazioni, anche le più sublimi, rischierebbe di essere fine a se stessa» e non risolverebbe quella vita «che ci aspetta fuori dalla porta», e che «qui dentro in chiesa non è sospesa, ma è raccolta».

È una premessa importante. La fede «serve» perché «ci introduce a una più profonda esperienza di vita». Lo ascoltano in silenzio i parrocchiani di San Giovanni Bianco che gremiscono la chiesa. Monsignor Beschi è venuto volentieri subito qui in valle, luogo di fede radicata, semplice, spontanea; tra queste musiche profonde, dolci, un po' malinconiche dove – complice la Quaresima – domina il Kyrie. In questo paese dove il Coro diretto da don Virgilio canta ancora tutto in latino, dove il sindaco Gerardo Pozzi sale sull'altare a omaggiare il nuovo vescovo con un libro sul Ceresa e una targa ma si mette anche a raccontare la storia cristiana della sua gente, dove alla Sacra Spina fanno la guardia giorno e notte gli Alpini. Il vescovo ha quasi sorpreso con la sua «immediata disponibilità» il prevosto, don Luigi Manenti, che dice che «questo per noi stasera è già un bellissimo, grandissimo inizio» che invita tutti a riscoprire «le radici della nostra fede, la freschezza dell'amore di Dio». È venuto volentieri a ricevere il Cristo ligneo dai coscritti 33enni, ma non solo perché in questa chiesa si ritirava don Angelo Roncalli a pregare (lo fece anche poco prima del Conclave) o perché qui fu ordinato prete Bruno Foresti, vescovo emerito di Brescia e suo grande amico.

Monsignor Beschi ha già lasciato in episcopio il pastorale scintillante di Radini Tedeschi e ha tirato fuori il suo, leggero e lineare, molto simile a quello più usato da monsignor Amadei. Dice che ai giovani gli adulti devono offrire «le ragioni, e il gusto della vita», la «gioia di vivere», la speranza «che viene dall'incontro con Gesù Cristo» e che dà un senso anche alle spine della vita. Anche alle Sacre spine. Il cristiano non è colui che «ha risolto tutti i suoi problemi» ma l'uomo certo dell'amore di Cristo. La venerata reliquia allora è segno, sì, «della Passione» ma soprattutto «dell'amore di Gesù che è più grande di ogni sventura e di ogni peccato. Una forza che è più grande del Male». La Sacra Spina riporta l'attenzione sul vero centro della vita cristiana che è l'Eucaristia, Cristo risorto in mezzo ai suoi.

Anche la voce del vescovo, alla benedizione finale, qui in Brembana risuona in latino. Poi, lasciando l'altare dopo la Messa monsignor Beschi rompe il protocollo, si infila in mezzo al coro per la foto con mitria e pastorale, si ferma in chiesa e piano piano tutti – un po' intimiditi – lo vanno a salutare. Entra in sacrestia tra i sorrisi, fa lui l'inchino ai chierichetti schierati con il turibolo in mano.

In mattinata il vescovo era stato a e nel pomeriggio a , dove è stato accolto da una vera festa: lo hanno fatto passare in mezzo al con il tappeto rosso steso in terra e il frastuono dei tamburi e delle chiarine medievali a fargli ala, tra centinaia e centinaia di . A riceverlo c'erano il prevosto Evasio Alberti e il vicario locale monsignor Arturo Bellini, sul ponte levatoio un cavaliere a cavallo e una damigella assieme agli Sbandieratori e musici dell'Urna in costume storico, la banda parrocchiale, artiglieri, bersaglieri, granatieri, fanti, carabinieri in congedo schierati sotto il Leone di San Marco.
Due africani guardavano passare il corteo dal balcone di casa, sorridendo. Al campanile del Cagnola stava appeso uno striscione bianco alto decine di metri con scritto: «Benvenuto fra noi», ma tutta la piazza di Urgnano era pavesata in rosso e oro. Sulla porta della chiesa c'era già lo stemma del nuovo vescovo di Bergamo dipinto di fresco. Un gruppetto di bambini lo ha salutato a suon di poesiole: «Benvenuto monsignore/ tu per noi sei il Buon pastore». «Oggi è grande festa», «grazie per il tuo paterno sorriso/ che dona a tutti noi un po' di Paradiso». Lo hanno coperto di fiori freschi di primavera, alla fine l'hanno guardato in faccia e gli hanno chiesto: «Ti possiamo abbracciare?». «Certo» ha risposto il vescovo, ne ha presi tre e li ha tirati su di peso «a mazzo», tutti assieme.

Dentro, a destra dell'altare c'era una barca. Vera, con tanto di albero e vela, su onde di stoffa azzurre e blu. La chiesa era piena per due terzi di giovani, c'era una discreta confusione e un'aria molto allegra, insolita. Seicento ragazzi del vicariato che riceveranno presto la Cresima hanno «interrogato» il vescovo sullo Spirito santo e lui ha risposto a tono, come gli piace fare. Racconta, fa esempi, confessa, invita tutti ad «avere ancora gli occhi capaci di meravigliarsi delle cose belle». Fa ricantare le canzoni, scende dall'altare, si avvia in mezzo alla navata battendo le mani sopra la testa per tirar dentro tutti nel ritmo e insieme per spiegare cos'è lo Spirito santo: niente di astratto, qualcosa «che ti suona dentro, come la musica», qualcosa che «gonfia le vele». Dice di essere «felicissimo» di essere vescovo monsignor Beschi, «e lo auguro anche a voi»; sulla sua nuova diocesi non ha «progetti» tranne uno: «Servire la vostra fede in Gesù». Per tutti è già «il vescovo Francesco», un nome che è un programma pastorale. Siamo a mezza Quaresima, il clero è tutto in viola come di rigore ma qui c'è già aria di Pasqua.

Carlo Dignola – L'Eco di Bergamo