A Fausto Belotti di in dono un dispositivo di telemedicina. Una speranza in più per Fausto. Per tornare a sorridere, a camminare, a urlare di gioia. Perché dal 26 luglio 2006 Fausto è in uno stato che la medicina definisce di «minima coscienza», una sorta di stadio antecedente al coma, lui che in coma profondo e poi vigile è caduto per un mese. A causa di una Mav, tre lettere per definire un evento terribile quanto raro, una Malformazione artero-venosa che a emorragia cerebrale, alla quasi totale assenza di comunicazione verbale e movimenti, appunto alla «minima coscienza». Fausto Belotti, 33 anni, di Camerata Cornello, da sabato scorso ha una speranza in più.

È un'apparecchiatura di telemedicina, unica in Bergamasca e raramente utilizzata in Italia, tanto da non avere neppure un nome. Ma che consentirà a Fausto di avere la medicina più importante in questi casi: l'affetto, lo stimolo, la forza e l'assistenza, ogni minuto, 24 ore su 24, dei suoi cari, dei sei «angeli» famigliari che da quel terribile luglio di due anni fa lo accudiscono con coraggio: sono mamma Marina, papà Gildo, la sorella Iliana, il fratello Gianmartino, zia Rina e zio Libero.

Il dispositivo elettronico monitorerà, a casa Belotti, tutti i parametri vitali di Fausto, la pressione, la frequenza cardiaca, il respiro e la temperatura, comunicandola in tempo reale, grazie a un collegamento telefonico, a un computer della clinica di San Pellegrino, dove Fausto è stato in cura riabilitativa per diversi mesi. E, in caso di emergenze, l'allarme avviserà automaticamente il telefonino della sorella Iliana e il computer della clinica.

Grazie all'apparecchiatura Fausto potrà restare a casa, vicino ai famigliari, con la di un controllo medico praticamente costante. Come se fosse in ospedale o in una casa di riposo, struttura a cui i medici, peraltro, avevano consigliato la famiglia di affidare il giovane. Ma la loro volontà di tenere vicino Fausto è stata più forte di ogni cosa e di ogni consiglio dei medici.

La speranza data alla famiglia Belotti è merito di Luciana Previtali Radici, che ha donato la strumentazione di telemedicina alla Genesis di San Pellegrino, associazione che si occupa del recupero dei traumatizzati cranici e che, a sua volta, l'ha messa a disposizione della famiglia di Fausto. Sabato scorso, al ristorante «Il Pianone» di Città Alta a , si è svolta l'annuale festa del sodalizio, durante la quale è avvenuta la consegna dell'apparecchiatura.

Il presidente della Genesis e responsabile del reparto di Recupero e riabilitazione della clinica Quarenghi, Giampietro Salvi, ha ringraziato il Comune di Camerata Cornello (era presente il vicesindaco Gianfranco Lazzarini) per aver aiutato la famiglia, residente a Cespedosio, frazione d'alta montagna e lontana dai servizi, a trovare una sistemazione nel capoluogo, vicino al fondovalle. «Quando Giampietro Salvi mi ha proposto di aiutare Fausto – ha detto un'emozionatissima Luciana Previtali Radici – ho accettato subito. Sapevo che sarei stata felice di questo gesto, anche perché avrei dato speranza a un giovane, di nome Fausto, come mio figlio, che ho perso alcuni anni fa».

Con questa donazione – ha detto il dottor Salvi a margine dell'incontro – diamo un aiuto in più alla famiglia di Fausto che, ora, potrà tenerlo a casa con più sicurezza. Dobbiamo ringraziare Luciana per questo dono e per la sua sensibilità che ci ha consentito di realizzare un servizio di telemedicina unico finora in Bergamasca, e ancora raro nel resto d'Italia». Realizzata da una ditta di Monza con tecnologia finlandese, la strumentazione è raramente utilizzata nel nostro Paese e diffusa invece, in quei Paesi, come Canada, Svezia, Finlandia, Norvegia o Brasile, dove le città sono divise da centinaia di chilometri di deserto, foreste o ambiente incontaminato e la telemedicina è fondamentale per la cura di tante . Ora, in , diventa importante anche per migliorare la vita di un giovane operaio, la cui vita è cambiata radicalmente il 26 luglio 2006. La sera precedente a quel giorno, Fausto, marmista in una ditta del paese, avverte un forte mal di testa.

«Diceva di non riuscire a stare in piedi se apriva gli occhi – ricorda nei minimi particolari la sorella Iliana – e che gli bolliva il sangue. Mia mamma gli aveva consigliato di andare al pronto soccorso ma lui avrebbe preferito andare il giorno dopo dal suo medico personale». La notte passa, comunque, abbastanza tranquillamente. Alle 9 Fausto è sveglio e dice di stare bene.

«Ma dopo mezz'ora – racconta ancora la sorella – mi ha chiamato mio figlio Martino dicendo che Fausto mi voleva in camera sua. L'ho trovato seduto sul letto, tutto sudato, mi ha detto che stava morendo, non vedeva più nulla». Iliana chiama il 118 e dopo pochi minuti, a Cespedosio, arriva l'elicottero con il medico. «Intanto Fausto aveva ripreso a vedere, era cosciente ma, come se dovesse andarsene per sempre, aveva salutato mamma, papà, mio figlio Martino e lo zio Fiorentino». Intanto ad aiutare la famiglia Belotti arrivano anche gli abitanti della vicina frazione Era.

Dopo un minuto Fausto entra in coma profondo. Viene portato in terapia intensiva agli . Qui la diagnosi dei medici è terribile: si tratta di Malformazione artero-venosa (Mav) della lamina quadrigemina al mesencefalo, avuta, senza saperlo, fin dalla nascita e ora causa dell'emorragia cerebrale che lo tiene immobile.

Fausto esce dal coma dopo trenta giorni, inizia riabilitazione alla «Casa degli angeli» di Mozzo, dove rimane nove mesi, torna agli Ospedali Riuniti di Bergamo, viene anche operato ai calcoli e si nota qualche lieve miglioramento. Dal luglio 2007 all'aprile 2008 è accolto dalla clinica Quarenghi di San Pellegrino, anche qui per la riabilitazione. Ma i progressi sono lenti, lentissimi. Ancora oggi Fausto è fermo in un letto o in una carrozzina, i movimenti lievi e rari, la comunicazione è quasi assente e avviene solo se stimolata, il più delle volte a piccolissimi gesti. Ma Fausto c'è, è vivo anche se con una «minima coscienza», come la chiama la medicina.

«Risponde con un sì o un no alle nostre domande – dice ancora la sorella che, da quel 26 luglio di due anni fa, ha lasciato il lavoro da operaia alla Sanpellegrino –. Ci avevano proposto di affidarlo a una casa di riposo ma noi abbiamo preferito tenerlo a casa. Qui è più tranquillo, ci siamo noi che lo accudiamo ogni momento, gli amici e i suoi cugini vengono ancora a trovarlo. Infermieri e assistenti possono, comunque, venire da noi per le cure. E dobbiamo ringraziare tutti i medici che finora ci hanno aiutato. Ora tocca a lui non lasciarsi andare ma reagire, trovare dentro di sé la forza di volontà per tornare come prima. Noi abbiamo questa speranza». E allora, forza Fausto, ce la puoi fare.

Giovanni Ghisalberti – L'Eco di Bergamo