Valle BrembanaQuell'onda di piena annunciata dall'odore del bosco
Il racconto vissuto in alta Val in quei terribili giorni.

Era il 18 luglio 1987, come ieri. Era un sabato, io c'ero. Non era stata un'estate travolgente, quella del 1987: maggio e giugno avevano avuto diversi periodi con piogge e temporali, e anche luglio seguiva questo andamento. La temperatura era regolarmente sotto la norma di qualche grado, in tutta quella estate in Alta Valle Brembana non si raggiunsero mai i +30° C nelle massime.

Aveva piovuto fitto nei tre giorni precedenti, si trattava di frequenti piogge temporalesche estese, in arrivo da Sud-Ovest, che fra il 15 e il 17 luglio avevano fatto raccogliere al mio pluviometro ben 125 millimetri di pioggia. È un dato importante perché il terreno dell'Alta Valle sabato 18 sarà già saturo di acqua come una spugna. E i 245 mm di quel giorno cadranno su un terreno che non ha più posto per nessuno, velocizzando il ruscellamento di tutte le vallette laterali, che porterà al disastro. La fase più acuta inizia appena dopo . Disponevo allora per la pioggia di un semplice cilindro in vetro graduato, con relativo imbuto metallico tarato superiore di raccolta (come quello che si fa costruire ai ragazzi delle elementari, per insegnargli a misurare i millimetri della pioggia), e le mie tacche di lettura si fermavano al valore dei 100 mm. Mai, allora, avrei pensato che nelle nostre Orobie, pur così dichiaratamente piovose, potesse diluviare maggiormente in un giorno solo. E invece già alle 13 si rovesciava una pioggia continua, a filo verticale e senza vento, creando la cortina grigia tipica della gran pioggia. Svuoterò per due volte i miei 100 millimetri prima delle 16,00, per cui ritengo che almeno 200 dei 245 mm totali misurati in quella giornata siano caduti in meno di tre ore. Per noi in paese la situazione non era al momento avvertita come preoccupante.

C'era sì il malumore per un sabato estivo rovinato dal maltempo, ma c'era molta gente in giro per il weekend. Ricordo benissimo l'arrivo improvviso e violento della prima onda di piena nel ramo del di Averara che scende dalla Valmoresca e dal San Marco. In molti ci portammo a vederne il livello esagerato, in alcuni punti poco sotto la mulattiera per Santa Brigida, l'acqua era di un colore marrone scuro, limacciosa e con uno strano odore, un misto fra terriccio e vegetazione tritata. Ma non si aveva ancora l'esatto sentore dell'evento. E dopo mezz'ora ecco il grande boato: il nostro paese si trova sulla confluenza dei due rami, in poche decine di metri si va da uno all'altro. È da questo ramo del Brembo che arriveranno i lutti e i danni principali dell'alluvione, con la valle del Pegherolo e del Ponte dell'Acqua dilavati dalla gran pioggia e che manderanno a valle enormi quantità di acqua e detriti, in particolare i tronchi d'albero divelti che come arieti sfonderanno i molti piccoli ponti dell'Alta Valle Brembana.

Molti in paese hanno conservato un particolare ricordo sonoro, quello del rumore secco e particolare che diversi fusti e latte metalliche allora abbandonati sulle rive del Brembo facevano rotolando sui sassi del greto, sospinte per alcuni secondi in avanti allo spostamento d'aria mosso dalla testa alta e furiosa della piena, prima che l'onda marrone travolgesse tutto quanto. Ci sono stati 5 morti, fu solo fortuna se il numero non fu maggiore, merito casuale di una frana di terriccio che verso le 15 bloccò la circolazione sulla provinciale all'altezza del Santuario dei Campelli, fra Olmo al Brembo e Piazza Brembana. Questo impedì che altre auto finissero travolte dall'onda di piena nel tratto verso Mezzoldo, dove diverse curve della erano sparite nella furia delle acque. Tecnicamente questa alluvione si originò sulla dorsale montuosa che dal Resegone corre attraverso lo spartiacque orobico-lariano sulla Val Taleggio e poi verso il Venturosa, dove probabilmente avvenne il principale sollevamento forzato dell'aria umida. Questo, unitamente al grande carico di umidità dell'aria e all'alta temperatura presente in quota (c'erano +20° C ai 3.000 metri di quota durante le precipitazioni, saranno quelli che fonderanno per lo spessore di 1 metro anche i ghiacciai della Valtellina…) ha potuto concorrere a questa enorme precipitazione.

Ricordiamo come la «lingua» dell'alluvione dopo aver scavalcato le Orobie sul Pegherolo e dall'area di Cambrembo, continuò attraverso la Val Tartano con altri lutti, finendo la sua opera nell'alta Valtellina, con ulteriori gravi danni. Si può dire poco, sia sulla prevedibilità o meno del fenomeno, sia su come venne affrontata allora l'emergenza atmosferica. Va ricordato che a Roncobello e a Valtorta, paesi dell'Alta Valle a pochi chilometri dal disastro, nessuno ebbe sensazione di cosa stesse succedendo, pioveva normalmente. Meno ancora verso la pianura, se è pur vero che a Villa d'Almè quel pomeriggio in molti erano nel Brembo a prender il sole e a fare il bagno, tanto che qualcuno restò poi isolato sui grossi sassi in mezzo al fiume, quando giunse l'onda di piena dopo un paio d'ore. Da allora molte cose sono cambiate: sono state costruite opere di difesa e prevenzione, anche l'informazione e l'attenzione della gente al clima e alle sue sorprese è migliorata in qualità, di sicuro è più diffusa e condivisa di allora. Ricordare dopo 20 anni questo evento vuole essere principalmente un omaggio alla memoria dei 5 morti. Ma deve anche servire a tutti per riflettere che il clima in cui viviamo non deve essere trattato solo o semplicemente come una allegra scommessa in funzione del nostro tempo libero, ma visto come un complesso e delicato meccanismo ambientale, che vuole il nostro rispetto, la nostra attenzione e la partecipazione di tutti. Verranno, si spera, i grandi impegni internazionali promessi al clima, ma da subito ognuno di noi può iniziare, con un migliore stile di vita e coltivando sempre il miglior rispetto possibile per l'ambiente e per le cose della natura tutta in cui si muove.

Roberto Regazzoni – L'Eco di Bergamo 19/07/2007

IL BOATO DURANTE LA FESTA. E POI LE CASE CHE FRANANO di Silvia Butera
Un rumore profondo, la casa di fronte alla nostra che scivola in avanti, fango e massi sulla . Un uomo in tuta gialla che mi dà da bere, la mia bambola preferita rimasta nell'auto trascinata via. Ero solo una bambina, ma di quei giorni in cui l'alluvione si è abbattuta sul paese sono rimasti ricordi indelebili. Parlare d'estate, nel luglio 1987, a Mezzoldo era difficile. Pomeriggi interi chiusi in casa, pioggia incessante, il Brembo sempre più grosso e marrone. Quel giorno festeggiavamo il mio compleanno, c'erano amici a pranzo. Tutto è successo in un attimo: un rumore che ancora adesso ho nelle orecchie, come provenisse dalle viscere della terra, la montagna che inizia a sfaldarsi in più punti contemporaneamente. Fuori dalla porta di casa si ammassava il fango, la stradina franava, l'abitazione davanti alla nostra scivolava sul terreno, una parte crollava. Ricordo mia zia, che ci correva incontro gridando: La vostra macchina è stata colpita in pieno da un masso enorme, è stata trascinata via d'alluvione. Era una Cinquecento rossa. Dentro c'era la mia bambola preferita, nel mio vissuto di bambina è forse uno dei dettagli che più si sono impressi nella mente. Ci hanno detto di andare tutti a rifugiarci sotto un porticato poco lontano. Arrivava tanta gente, tutti volevano sapere cosa stesse succedendo. Ognuno riportava quel che sapeva, il paese era rimasto isolato. Ricordo un radioamatore che cercava di captare qualcosa. Il cimitero di Mezzoldo era stato distrutto dalla violenza dell'acqua, nel fiume si vedevano bare galleggiare. L'anziana signora che abitava davanti a me era rimasta bloccata in casa dai massi, poi qualcuno era riuscito a liberarla. Chi aveva cercato di scappare, partendo in macchina, era stato bloccato in fondo al paese, troppo pericoloso avventurarsi oltre. La notte è stata forse anche peggiore. Perché la pioggia continuava a cadere, persisteva il rumore inquietante del fiume in piena, si stava in allerta per paura che tutto crollasse ancora. Il giorno dopo qualcuno ha provato a scendere più a valle a piedi. Da Mezzoldo a San Giovanni Bianco, percorrendo i vecchi sentieri tra i boschi, poi verso Bergamo in autostop. Alla fine sono arrivati gli elicotteri, ci consegnavano l'acqua in bottiglia, ritiravano messaggi per i parenti. Della nostra Cinquecento è rimasta solo una foto: poche lamiere, sepolte sotto un masso nel fiume.

IL MATTINO DOPO IL DILUVIO di Michela lazzarini
Continuava a piovere, pareva che le divinità del cielo buttassero giù l'acqua dalle nuvole con dei secchi. E magari si fossero viste le nuvole! Il cielo era coperto da una spessa coperta di lana grigia, tutta tremendamente cupa. Nessuno avrebbe detto che ci trovavamo nel cuore dell'estate, in pieno luglio. Il pomeriggio trascorreva monotono per gli abitanti del piccolo villaggio di Mezzoldo, per le strade solo il rumore dell'acqua che impetuosa si era impossessata di ogni viuzza. Avvicinandosi all'antico porticato nel centro storico del paese potevamo però ascoltare, in maniera sempre più nitida, le risate e le urla dei bambini che, al riparo dalla pioggia ma non dell'umidità, erano impegnati in un'importante discussione…… CONTINUA 

ALCUNE IMMAGINI DI QUEI GIORNI A BRANZI E IN ALTA VALLE BREMBANA