Tanta amarezza tra i lavoratori dell'azienda di Zogno. C'è lavoro, ma si delocalizza per maggiori profitti.
I dipendenti: «In è emergenza occupazionale. Non ci sono alternative». Oggi assemblea. L'11 vertice con l'azienda. La voce è corale e i pareri sono condivisi da tutti i 72 dipendenti della Miti di Zogno. La voglia di ribellarsi e la rabbia soprattutto di chi alla Miti ci lavora da molti anni è tanta. Ma la notizia data dai sindacati due giorni fa, circa la chiusura dell'azienda specializzata nella produzione di indemagliabili, ha creato un clima di sconforto. «Il lavoro non è moltissimo ma c'è.

Dire che non c'è lavoro sarebbe una bugia, l'azienda vuole solo aumentare i propri profitti spostandosi all'estero. Della nostra carriera, della nostra occupazione e del nostro futuro in generale, sembra non importare nulla». È solo uno dei tanti commenti dei dipendenti durante l'uscita al cambio di turno, ieri alle 14.

«Tutti chiudono, tutti delocalizzano all'estero la produzione e a noi operai non rimane che sperare in un lavoro alternativo. Ma se consideriamo la crisi economica internazionale degli ultimi mesi, trovare anche solo un'occupazione saltuaria non è semplice – spiega Mario Pellegrini, 57 anni di Zogno -. Da 36 anni lavoro qui, ho fatto tanti sacrifici per cercare di far proseguire bene l'attività, ora invece la doccia fredda, senza nessun preavviso. A settembre saremo tutti a casa». Dello stesso parere anche Livio Giuliani, 33 anni, residente a e da dieci anni dipendente alla Miti: «Le voci di una probabile chiusura correvano già da alcuni mesi, ma si pensava a soluzioni alternative invece della chiusura definitiva. Nei reparti la produzione c'è, i macchinari e i telai funzionano, forse non a ritmi frenetici ma si poteva proseguire. La scelta di spostare la produzione all'estero non tiene conto minimamente delle esigenze nostre, della gente che in Valle Brembana ci vive, ha famiglia e ha programmato il proprio futuro. Sarebbe bello poter affermare che scendendo nelle industrie della Bassa troveremmo lavoro, ma la realtà è tutt'altra: il lavoro scarseggia ovunque».

La Miti è sempre stata una delle aziende storiche del territorio, insieme all'adiacente di Valle Brembana. Rimarrà comunque attiva la succursale di Urgnano che da lavoro a circa 130 dipendenti. In particolare lo stabilimento da tempo pativa un sensibile calo degli ordini ed era anche in sofferenza per la crescita esponenziale dei , tra cui quello dell'energia elettrica.

Dopo un periodo di provvedimenti tampone, come la cassa integrazione dello scorso anno e la cassa in deroga inaugurata solo un mese fa, è stata presa la decisione definitiva di chiudere. A vedere più ombre che luci nel panorama occupazionale locale sono in particolare le donne: «Lasciato questo lavoro non avremo molte alternative, qui ci lavoro da 29 anni e mi sono sempre impegnata perché potesse proseguire nel migliore dei modi – interviene Cristina Traini 44 anni di Zogno -. Nei mesi passati si diceva che chiuso questo stabilimento, noi dipendenti avremmo potuto lavorare nella sede di Urgnano. Uno spiraglio sembrava esserci, invece, sono state parole al vento». «Lavoreremo sino a settembre, il giusto periodo per concludere i lavori avviati in queste settimane e poi “impacchettare” i macchinari per spedirli in Ungheria – aggiunge Bruna Pellegrini residente a Zogno con due figli -. Ho 43 anni e da 22 lavoro alla Miti, non avrei mai pensato che ci trattassero in questo modo. Mi chiedo come si possano permettere azioni di questo genere.

In valle non rimane più nulla, la speranza è quella di trovare lavoro in pianura, c'è comunque lo svantaggio di dover percorrere parecchi chilometri fra code e rallentamenti». Anche Veronica Licini 32 anni di Zogno non ha mezze parole per descrivere la situazione: «Ho due figli – dice – e in qualche modo dovremo provvedere a loro, gli ammortizzatori sociali allevieranno la carenza di lavoro ma non risolvono il problema, noi donne dobbiamo rimboccarci le maniche e trovare dei lavori alternativi. Sono pronta ad impegnarmi in ogni settore, l'importante è avere un'occupazione. Correva voce che sarebbero arrivati alcuni macchinari nuovi, una notizia che faceva ben sperare, ma che non ha avuto seguito».

Non ha intenzione di attendere immobile anche Claudio Gervasoni, 49 anni, residente a Zogno: «Non ci sono parole per un'azione di questo genere. Vorrei che la dirigenza, davanti a noi lavoratori, spiegasse a chiare lettere il perché di questa scelta. Dopo 27 anni alla Miti ho imparato una professione, sapevo fare il mio lavoro con disinvoltura e ad ogni problema si trovava la soluzione più adeguata. Ma oggi l'esperienza nel mercato del lavoro, forse, non è più considerata». Per dipendenti e sindacati resta lo choc della chiusura. Questa mattina dalle 8 alle 9 è prevista l'assemblea fra sindacati e lavoratori, mentre un nuovo incontro con l'azienda è già stato fissato per l'11 giugno nella sede di Confindustria .

L'Eco di Bergamo