miti_loghino_thumbnailChe non fosse un negoziato facile lo sapevano tutti, ma l'incontro di ieri lo ha confermato in pieno: la crisi della Miti di è di difficile soluzione, quei 70 dipendenti, in gran parte donne, destinate a restare a casa dopo la delocalizzazione della produzione in Ungheria, meritano una riflessione ampia, che non può esaurirsi davanti all'aridità di numeri o di soluzioni prese soltanto a tavolino.

Attualmente le distanze tra sindacato e proprietà non sono poche, anche se la sensazione è che durante le quasi 4 ore di confronto si siano leggermente avvicinate. Uno dei nodi più «sensibili» riguardava gli incentivi: su questo fronte, dopo un avvio di trattativa complicato, e una proposta aziendale che i sindacati hanno definito infelice (per usare un eufemismo), le parti alla fine hanno ampiamente accorciato decisamente le distanze: toccherà alle assemblee dare comunque un giudizio definitivo sulla congruità 'offerta. Resta invece aperta la partita legata al vuoto che lascerà l'insediamento industriale che da fine settembre sarà svuotato dei macchinari trasportati nel nuovo capannone in Ungheria: su questo punto ieri si è discusso poco, ma la sensazione è che proprio il riassorbimento di manodopera nei prossimi mesi diventerà il tema centrale di discussione.

Oggi, dopo gli scioperi alla Miti, tre round di negoziato tra le parti, i presidii, l'incontro con il sindaco di Zogno e quelli che verranno con i rappresentanti di Regione e Provincia, l'unica certezza purtroppo è che la delocalizzazione si farà, e che i lavoratori dovranno confrontarsi con una dolorosa chiusura, seppur mitigata da un anno (o forse due) di cassa integrazione straordinaria per cessata attività e da una serie di incentivi all'esodo.

«È stata una trattativa partita male nel primo pomeriggio e poi corretta in corsa dall'azienda – racconta Raffaele Salvatoni, della -Cisl -: all'inizio gli incentivi proposti dalla proprietà potevano tranquillamente definirsi “indecenti”. Poi, vista la nostra ferma volontà a non arretrare di un passo, l'azienda ha riconsiderato l'offerta su basi più ragionevoli. In sostanza si tratta di cifre modulate in base alla data di uscita delle durante la cassa. Se nel frattempo l'area viene ceduta e l'azienda subentrante riassorbirà personale, l'attuale proprietà naturalmente risparmia, quindi è tutto interesse della famiglia , trovare un acquirente». «Si era davvero partiti malissimo – spiega Luigi Zambellini della Uilta-Uil che ha seguito la vertenza così come Ennio Cornelli, della Filtea-Cgil -, poi l'azienda ha capito che doveva fare un'offerta più ragionevole. Vedremo cosa decideranno le assemblee: a questo punto diventa decisivo il loro verdetto: purtroppo l'unica certezza che abbiamo è che tra 3 mesi ci troveremo di nuovo di fronte a una chiusura dolorosissima per il tessuto industriale della Brembana». Le assemblee sono in programma già oggi, al mattino a Zogno e al pomeriggio a Urgnano, l'altro stabilimento Miti adibito al finissaggio, mentre martedì è già previsto un nuovo e si spera decisivo incontro tra sindacati e azienda.

Restano due quesiti di fondo: anche se proprietà e sindacati trovassero l'accordo sugli incentivi, che ne sarà dell'accordo che il presidente Polli dice di avere già siglato, seppur a livello preliminare, con un altro imprenditore del settore commercio? E se anche i sindacati dessero il via libera al passaggio delle consegne, che successo può avere un'operazione che si basa su un cambio di destinazione d'uso dell'area, da industriale a commerciale, quando non più tardi di 3 giorni fa, il neo sindaco di Zogno Giuliano Ghisalberti ha detto che questa eventualità lui per ora non la prende in considerazione?

Maurizio – L'Eco di