Gianni Baroni 57 anni Ora che, finalmente, una strada sterrata anche a Sussia, Gianni sorride e, la sua casa, lassù, sull'altopiano circondato dai monti Zucco e , non la lascerà per nulla al mondo. Perché quello è il suo mondo, dove è nato, dove nacquero suo padre, i suoi nonni e il suo bisnonno, dove è cresciuto da bambino andando a piedi a scuola fino a Catremerio, dove ha vissuto finora, facendo il pendolare ogni giorno, non sulle autostrade, ma sui sentieri tra Vetta e Sussia, spesso accompagnato dai muli utilizzati per il trasporto della spesa.

Qualche mese fa, raggiunta la pensione, ha provato per alcuni giorni ad abitare in una casa in centro, giù a San Pellegrino, poi è «scappato» sui monti, accanto alla chiesetta di San Michele, lui, rimasto l'ultimo custode del borgo un tempo abitato da un centinaio di persone.

Gianni Baroni, 57 anni, pronipote di quell'Antonio diventato un pioniere dell'alpinismo e non solo, è per molti il «simbolo della montagna che resiste» all'abbandono e all'incuria del territorio. Ed è anche con questo significato che, la mattina di domenica scorsa, la sezione dell'Alta Valle Brembana del Club alpino italiano ha voluto premiarlo, donandogli la 500ª tessera dell'associazione. Gianni come primo «amico della montagna» e naturalmente dei montanari, quei montanari che, domenica, hanno voluto fargli visita e festeggiarlo. Con molta semplicità, tra un piatto di polenta e qualche fetta di salame e formaggio, offerti dal Gianni. Perché lui è uno che non si tira indietro quando c'è qualcuno da ospitare a casa sua: un buon bicchiere di vino e un saluto c'è per tutti.

Davanti alla storica casa colonica che i segni gloriosi del passato (sculture, foto e lapidi dedicate al bisnonno, la guida alpina Antonio Baroni, ma anche al papà Michele Baroni, un tempo vero «sindaco» di Sussia) si è svolta la cerimonia di premiazione.

«Oggi premiamo Gianni, simbolo della difesa della montagna – ha detto Piero Redondi di San Giovanni Bianco, vicepresidente Cai dell'Alta Valle Brembana –. Grazie a lui queste terre sono ancora pulite e i sentieri curati. E, come ora, speriamo sempre di trovarlo quassù, ad accogliere gli escursionisti diretti allo Zucco o sugli altri sentieri».

«Ma Gianni è anche custode della storica casa che fu del papà Michele e del bisnonno Antonio – ha continuato Redondi, presente per il Cai insieme a Decio Galbiati – prima grande guida alpina bergamasca conosciuta in tutta Europa, ricordato ovunque per le vie aperte sulle montagne, per la sua straordinaria professionalità, per la sua forza fisica, ma anche per la sua affabilità nell'accompagnare alpinisti ed escursionisti».

È seguita la celebrazione della Messa, presieduta da monsignor Giulio Gabanelli, prevosto emerito di , durante la quale sono stati ricordati altri due famosi alpinisti brembani, Pierangelo Maurizio di Oltre il Colle, disperso sull'Everest, e Bruno Tassi «Camòs» di San Pellegrino, morto in un incidente stradale lo scorso dicembre. Poi il banchetto davanti alla casa di Gianni, con polenta, formaggio e cotechini per tutti, conditi da canti e allegria montanara, in una stupenda giornata di sole.

Tutto questo prima che l'ultima sentinella di Sussia, in serata, tornasse da solo ad abitare la sua casa, ad ascoltare il silenzio delle montagne, con l'unica compagnia dei tre fedeli cani, i due cocker Zara e Lola che lo accompagnano a caccia, e Mirka, un bellissimo incrocio dal pelo bianco. Nella grande casa è accesa ancora una stufa a legna dove, ricorda Gianni «la polenta esce meglio che da qualsiasi fornello a gas». E poi tanti ricordi del passato, le foto del bisnonno e i riconoscimenti per una vita spesa a favore della montagna (come la pergamena consegnatagli qualche anno fa anche dalla sezione Cai di Bergamo).

Eppure, dopo anni di abbandono e desolazione, Sussia sembra tornare, poco alla volta, a nuova vita.
Da tre anni, ai mille metri dell'altopiano al confine con San Giovanni Bianco e Brembilla, arriva una via sterrata che parte da Vetta, sopra San Pellegrino. Una strada di tre chilometri che ha consentito al nostro montanaro di salire con la jeep o il trattore e ad alcuni proprietari di ristrutturare case e baite. Sono ormai lontani i tempi in cui Gianni usava i suoi muli per portare la spesa a casa. Dopo 35 anni come operaio alla e di allevatore, qualche mese fa è andato in pensione. Ha provato ad abitare qualche giorno a San Pellegrino, poi è tornato a Sussia a vivere una vita essenziale. La mattina a caccia con i cani, poi la cura di qualche animale da cortile, galline e conigli, la pulizia dei sentieri e della casa. Una solitudine che, forse, non fa così paura come prima: qualcuno ha iniziato a sistemare le case vicine e gli amici vengono più spesso a trovarlo.

Di poche parole, rigorosamente in stretto dialetto bergamasco, Gianni dice che preferisce restare qui, «dove ho sempre vissuto. Ora arriva anche la strada e quindi non posso che essere contento. E poi, se non ci fossi io, qui sarebbe tutto abbandonato. Bisogna tenere pulito il bosco, togliere sterpaglie e curare i sentieri. Speriamo, poi, che qualche giovane sistemi le altre case».

Sono gli stessi appelli, alla cura del territorio e al recupero delle vecchie abitazioni, che da anni fa anche un altro degli storici amici di Sussia, quel Pietro «Tocio» Pesenti di San Pellegrino, acerrimo difensore della frazione e promotore della nuova strada. «La strada ora arriva – dice – si è tornati a pulire il bosco e a curare la frazione. Ma resta ancora tanto da fare: innanzitutto bisogna mettere in il tracciato, con ripari e i canaletti per l'acqua». La montagna abbandonata, ripetono da sempre i suoi abitanti, è un pericolo anche per chi abita in pianura. «Se non si sale a curare la montagna – dice Pesenti – sarà la montagna, con le sue frane, a scendere da noi». E, allora, il grazie a Gianni Baroni ha un valore ancora più grande.

Giovanni Ghisalberti

Pronipote di Antonio Baroni
Siamo a fine Ottocento e in Valle Brembana si viaggiava a piedi o, al massimo con qualche carrozza trainata dai cavalli. È in questo scenario che Antonio Baroni (Sussia, 1833-1912), già boscaiolo in Francia, a 33 anni, intraprende la professione di guida alpina. A San Pellegrino arrivano due ingegneri: cercano qualcuno che li accompagni in un'escursione sulle Orobie. E qualcuno indica loro Antonio di Sussia. Così inizia la straordinaria carriera di Baroni, poi diventato un pioniere dell'alpinismo bergamasco ed esperta guida alpina, conosciuta in Italia e in Europa, citato come esempio nelle cronache dell'epoca da francesi e inglesi. Guidava gli escursionisti sulle Orobie, salendo e scendendo a piedi da casa, camminando anche a piedi nudi. Visse sempre a Sussia, nella casa dove oggi è rimasto il pronipote Gianni. Di Antonio oggi restano decine di vie alpinistiche con il suo nome (l'ultima, la direttissima sul Pizzo del Diavolo, aperta a 70 anni di età) e un rifugio (Baroni al Brunone) a lui intitolato.

L'Eco di Bergamo