, compatte le istituzioni ma pochi lavoratori “Senza il lavoro si ripete la storia dei nostri emigranti”. C'erano tutti a Zogno, tranne la gente. La manifestazione indetta dalla Comunità montana Brembana, insieme ai lavoratori delle fabbriche in crisi, ha visto per la prima volta forse della storia della valle tutti i sindaci dei 38 Comuni insieme, dagli avamposti nevosi di Foppolo e a quelli della bassa valle, tutti con la fascia tricolore al petto e la preoccupazione dipinta in faccia.

Con loro un nutrito drappello di senatori, deputati, consiglieri e assessori regionali e provinciali: i parlamentari Sanga, Pezzotta, Carrara, Pirovano, Vanalli, Cimadoro, i consiglieri regionali Raimondi, Macconi, Frosio, Bonfanti, Saffioti, Benigni, per la Provincia l'assessore al Lavoro Giuliano Capetti. Per i sindacati confederali i tre segretari provinciali: Ferdinando Piccinini per la Cisl, Luigi Bresciani per la Cgil, Marco Cicerone per la Uil. Anima di tutto, il presidente storico della Comunità montana, Piero Busi, un uomo che per la sua valle si è sempre dato da fare. «Un segno di unità, c'è bisogno di tutti» nota il vicepresidente della Comunità montana Silvano . Ma in corteo ci sono solo 500 persone, e molte di meno ascoltano gli interventi dei rappresentanti delle istituzioni. Fiom e Rifondazione con gli striscioni delle fabbriche meccaniche addirittura si fermano fuori dalla Manifattura Val Brembana, punto d'arrivo della manifestazione. Che cosa non ha funzionato? Per qualcuno, i sindacati hanno rinunciato a «portare le “truppe cammellate” non essendo tecnicamente una loro manifestazione». Ma la questione è più profonda. I montanari della Val Brembana difficilmente mostrano la collera. Quando si sentono traditi non parlano, se ne vanno. In silenzio, cambiano .

Qualcosa del genere si è consumato ieri: lo scollamento tra la gente e le istituzioni è stato reso visibile. In questa chiave va letta l'assenza, pur scontando il sabato prenatalizio, proprio dei lavoratori della fabbriche in crisi. Come la Manifattura, fabbrica simbolo di questa valle che ha ancora freschi i ricordi dell'emigrazione e ora teme (nello smottare delle imprese a valle o scivolare più lontano ancora, manco le portasse via il Brembo), di dover riprendere le strade dei padri. «Nel 2006 di sindaci ce n'erano tre – osserva un dipendente della San Pellegrino – eppure la crisi in valle c'era già e magari qualcosa si poteva fare. Adesso che tutto il mondo è nei guai e non c'è molto da discutere, arrivano tutti». Intorno, i compagni annuiscono. Più strumentale, invece, appare la contestazione da parte del drappello rifondaiolo, ricomparso in finale di manifestazione, verso alcuni dei politici presenti, da Savino Pezzotta (deputato Udc, già segretario generale della Cisl), ai consiglieri regionali della Cdl.

Il corteo parte puntuale alle 10 dal piazzale dell'Istituto Turoldo, dove il preside, Gualtiero Beolchi, aspetta con una cinquantina di ragazzi, i rappresentanti di classe, lasciati liberi di partecipare al corteo in rappresentanza della nuova generazione. «Di queste cose a scuola e a casa parliamo tanto» raccontano tre studenti. Aprono il corteo i sindaci con i gonfaloni dei Comuni, le bandiere, qualche striscione. Quello che si chiede: «Quale futuro per i lavoratori della Val Brembana?» riassume il senso della manifestazione. Il cielo è azzurro, in basso, il campanile di Romacolo fa pensare ad altri tempi ed altri problemi. La gente scende in silenzio verso il ponte. Si nota subito l'assenza dei tessili. Gianmario Fois della Valbrem di Lenna sottolinea che «anche nel meccanico c'è preoccupazione per le ripercussioni nel settore auto», Gianfranco Maifredi di dice che «sentiamo lo spopolamento. Se non c'è il lavoro, si perde anche tutto il resto. I nostri padri sono emigrati ma han portato i soldi qua, per mantenere la valle. Adesso i giovani ne escono». Silvia di , da otto anni alla Valbrem di Lenna, sostiene che «perdere il lavoro perché vien spostato all'estero fa ancora più male». Il marito sta alla Brembo, ma è in cassa integrazione per un mese. Tiziana Donati di Lenna, due figli, un marito lavoratore autonomo, osserva che la cig «è un'agonia. La manifestazione non servirà a nulla, ma almeno facciamo vedere che esistiamo».

Il corteo attraversa la via principale di Zogno: gente che fa compere, qualche luce natalizia .«La crisi non si vede ancora davvero – osserva Stefano Caldi, agente di , in corteo per solidarietà – ma gli acquisti calano. Vedo che in piazza i lavoratori delle fabbriche son pochi. Forse per rassegnazione. C'è la paura concreta di non avere lo stipendio». Il turismo sostenibile, per Paolo Locatelli di Legambiente, è il futuro. «Ma il presente sono le fabbriche» ribatte Roberto Pirrotta della Fiom. «Basta strade e ponti e tavoli» rincara Diego Milesi, consigliere comunale di . Efisio Figus della , gruppo Scm, non si fa illusioni: « A noi arriverà l'onda lunga della crisi a gennaio».

Alla Manifattura Valbrembana («Era il simbolo di una valle uscita dalla povertà» osserva Giacomo Calvi di Piazza Brembana) i politici saliti dalla città sono in attesa. Di dipendenti non se ne vedono. Savino Pezzotta sostiene che «questa è una crisi che farà cambiare il sistema produttivo italiano e inciderà sul manifatturiero che è quello bergamasco. Non dobbiamo perdere la cultura industriale e le competenze. Ce la faremo, a patto di stare tutti insieme». A manifestazione chiusa, l'ultima parola è della neopensionata Giuliana di Cassiglio: «Peccato si sia persa oggi l'occasione del confronto».

Susanna Pesenti – L'Eco di Bergamo

Le immagini della manifestazione