Case vuote in montagna, il Pirellone per frenare il cemento
Senza categoria Articolo letto da 882 utenti - Pubblicato il 13 Agosto 2010Dice che il problema delle nostre valli sono le scelte poco lungimiranti. Daniele Belotti, assessore regionale lumbard con delega a Territorio e Urbanistica, parla per immagini: «Il villino a 59 mila euro. La casetta a basso costo ma ad alto tasso di diffusione. Questo è il problema delle nostre valli». Faccenda complessa, non esente da recidiva. «Nonostante oggi ci troviamo con decine di migliaia di case vuote per gran parte dell'anno, non si impara dagli errori. Si costruisce ancora in zone sature. Il problema è anche economico, i Comuni sono alle prese con strette di bilancio drammatiche, le case portano alcuni introiti come oneri e imposte». La Regione i Pgt li pubblica, quindi l'assessore li conosce e sottolinea: «Ci sono anche enti virtuosi, sia chiaro».
Il problema è che, purtroppo, «quelli che fanno scelte oculate ancora sono la minoranza». Intanto il cemento c'è e si vede. Soprattutto quando è un guscio senza residenti (o villeggianti) dentro. Ebbene: per metterci una pezza ora serve uno sforzo: secondo l'assessore bergamasco il punto di partenza è «cominciare a valutare le cose nel loro insieme, sedersi a un tavolo e coordinarsi». Premesso che la pianificazione territoriale vede nei Comuni il soggetto principe, il Pirellone sta per lanciare una cabina di regia. Si chiama «Piano d'area delle valli alpine», esperienza analoga a quanto già in campo per aree delicate come quella dei navigli. «L'attivazione di questo strumento, che coinvolge Comuni, Provincia, Regione in una programmazione concertata, è fra i programmi dell'assessorato. Affrontare il problema delle valli è necessario, non si può rinviare».
Tecnicamente il piano d'area è uno strumento di specificazione del Piano territoriale regionale di coordinamento dedicato a contesti che richiedono specifici, articolati e multidisciplinari approcci alla pianificazione. Nella pratica: si osservano i Comuni come un insieme, si osservano vincoli ma si forniscono pure opportunità. Nel senso che per prima cosa si protegge il territorio e questo è un bene anche per il turismo. Poi si facilita l'accesso a risorse specifiche. «I Comuni non sono obbligati ad aderire. Ecco perché il primo passo sarà verificare se sono interessati a coordinarsi in una pianificazione dello sviluppo e delle edificazioni finalmente a medio-lungo termine».
L'ambito è regionale ma, chiosa l'assessore, «l'intenzione sarebbe partire proprio dalla bergamasca. La situazione nelle nostre valli di certo è fra le più complicate». Causa, appunto, la scarsa lungimiranza: «Negli anni passati si è seguita una politica insediativa che ha mirato soprattutto al profitto a breve termine». Il tasto su cui batte Belotti è ancora quello delle seconde case. Nella Bergamasca è stato certificato dall'Osservatorio sui flussi turistici della provincia, su base Istat: circa 89 mila alloggi, contro 465 mila esistenti in totale. Osservando le Orobie: 63 mila seconde case su un totale di 146 mila residenze. Significa che poco meno di una casa su due è legata alla villeggiatura. Aggiungiamo che dalle rilevazioni solo il 10% dei «villini» risulta aperto nei weekend non di punta. E se le ristrettezze economiche stanno favorendo l'utilizzo di queste case, il fenomeno è marginale visti i numeri. L'ingombro per il territorio resta massiccio, i benefici ridotti. «Perché gli impianti non girano con le seconde case, e nemmeno i negozi. Il villeggiante oggi si ferma soprattutto il weekend e arriva con la spesa fatta. Per il resto i Comuni si trovano a dover garantire servizi per bacini d'utenza molto ampi, che però sono tali solo poche settimane l'anno».
Per vedere a che punto siamo basta guardare il Trentino: su tutto il territorio conta tante case quanto le nostre sole Valli Brembana e Seriana, mentre l'Alto Adige si ferma addirittura a 11 mila. Eppure i turisti lì salgono a frotte. «Lì si è deciso di puntare sull'alberghiero di livelli più diversi. La formula ricettiva è meno impattante per il territorio, eppure crea risorse». Un problema che oggi viene sottolineato a più voci. Anche Franco Brevini, uno che per capirci è stato anche responsabile scientifico dell'Anno internazionale delle montagne indetto dall'Onu nel 2002, riflettendo sulla situazione della montagna bergamasca aveva avuto parole chiare: «Si paga, e pesantemente, una svendita del territorio. Poi sembra che la lezione non arrivi, si continua ancora a costruire e vendere a prezzi anche da svendita».
Quindi Belotti dal Pirellone gioca la sua carta: «Per la stesura del piano d'area la Regione mette a disposizione fondi». Si osservano gli insediamenti, si pongono freni dove serve, si valorizza ciò che merita. «Sarà farraginoso confrontarsi? È ovvio che servirà lavorare parecchio. Ma non si può più andare avanti in ordine sparso».
Anna Gandolfi – L'Eco di Bergamo
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