Zogno, indagati otto carabinieri
Senza categoria Articolo letto da 2.116 utenti - Pubblicato il 23 Gennaio 2012Zogno – È un'inchiesta partita quasi per caso dallo scrupolo indignato di un cittadino che si sentiva violato nella privacy, ma che s'è poi allargata col passare del tempo, arrivando a introdursi come una bufera negli uffici della Compagnia dei carabinieri di zogno. Tra la ventina di indagati figurano otto militari, compreso l'ex comandante, il capitano Filippo Bentivogli, trasferito insieme ad altri quattro sottoposti. Sotto inchiesta con loro ci sono imprenditori, infermieri, dipendenti di società private, che si sarebbero macchiati a vario titolo di diversi reati, tra i quali la corruzione, il falso ideologico e materiale, la rivelazione del segreto d'ufficio.
Intrico di episodi
Un'indagine in corso da circa due anni, lambita dal misterioso suicidio di un brigadiere e attraversata dalle lettere anonime di un «corvo» ben informato, che quasi sicuramente si nasconde dentro la divisa dell'Arma. Il pm Franco Bettini e gli agenti di polizia giudiziaria della Procura di Bergamo hanno a che fare con un intricato puzzle di episodi, il più delle volte non collegati fra di loro. Il filo rosso che li lega sono le intercettazioni telefoniche: ascoltando le conversazioni, agli inquirenti si aprivano ogni volta nuovi scenari. Contravvenzioni stradali che s'arenavano prima di approdare in prefettura, notizie riservate che venivano passate a chi sperava di farci soldi o messe a disposizione di imprenditori, più altre vicende che faticano a trapelare dal riserbo che si è imposto chi sta indagando. L'inchiesta è infatti ancora nel vivo e promette di far lievitare il numero degli indagati (potrebbero arrivare alla cinquantina), logico che le informazioni filtrino con il contagocce.
Il via con gli infermieri «talpa»
L'indagine parte nei primi mesi del 2010 e per un episodio che, riletto alla luce di quanto è poi emerso, fa quasi sorridere. Un cittadino, subito dopo essere stato dimesso da un ospedale della provincia dov'era stato ricoverato in seguito a un incidente stradale, viene contattato da una società che si occupa di ottenere risarcimenti dalle assicurazioni. L'uomo si vede offrire i servizi, ma rifiuta indispettito per l'intromissione nella propria sfera personale. «Ma come avete fatto ad avere i miei dati, chi ve li ha dati?», chiede. Il dipendente della società tergiversa, fa il vago, porge le scuse e prende atto che il signore non è interessato. Ma la cosa non finisce lì. Perché l'automobilista si rivolge alle forze dell'ordine e sporge denuncia. È in questo momento che inizia l'inchiesta. Chi viene incaricato di far luce non sa ancora quali orizzonti gli si spalancheranno. Pensa a un episodio, o quantomeno a un fenomeno, circoscritto. È con questo convincimento che gli investigatori si presentano all'ospedale per acquisire le cartelle cliniche dell'automobilista ferito e i turni del personale utili ad accertare chi aveva la facoltà di procurarsi i suoi dati.
Si viene così a conoscenza di una rete di infermieri infedeli, che passano informazioni sui pazienti ricoverati per lesioni da incidente stradale ad alcune ditte specializzate nel recupero dei risarcimenti. La pratica, scopriranno in seguito gli inquirenti, è piuttosto diffusa e forse in voga anche in altri ospedali della Bergamasca. Vengono sequestrati gli elenchi dei feriti e si scopre che molti di loro sono stati contattati dalle stesse società. In pochi si sono chiesti come hanno fatto a risalire alle proprie generalità e, se si sono posti il dubbio, hanno preferito sorvolare. Finiscono così sotto inchiesta alcuni infermieri. Il sospetto è che, in cambio delle «soffiate», ricevessero compensi. Ma il passaggio di denaro o di favori non è per il momento stato accertato e dunque il reato loro contestato resta la violazione del segreto d'ufficio. Intercettando le presunte «talpe», lo spettro dell'inchiesta comincia ad allargarsi. Perché, origliando le conversazioni, gli investigatori incappano in altri presunti reati e in altri nomi.
I carabinieri sotto inchiesta
È in questa fase che l'inchiesta sbarca negli uffici della Compagnia dei carabinieri di Zogno, con il suo carico di veleni e sospetti. Gli elementi raccolti da chi indaga raccontano di una serie di reati commessi da alcuni militari. Quelli più frequenti, secondo le accuse, riguarderebbero le infrazioni del codice della strada e le relative contravvenzioni mai giunte (o giunte solo in parte) sulla scrivania dei superiori e in prefettura. Piccoli favori confezionati occasionalmente per amici o collaudato sistema dietro al quale si celerebbero retribuzioni che, codice penale alla mano, non sarebbero altro che tangenti? Per il momento anche in questo filone non c'è prova che siano corsi denaro o vantaggi indebiti. Ma per gli inquirenti ci sarebbe una collezione di infrazioni – tra verbali taroccati e altre operazioni irregolari – sufficienti a ipotizzare il falso ideologico e materiale e, in qualche caso, pure la corruzione. Perché – è il ragionamento del pm – non è sensato che uno rischi senza avere almeno un piccolo tornaconto.
Tra i carabinieri nei guai c'è anche il capitano Filippo Bentivogli, l'ex comandante della Compagnia brembana, arrivato a Zogno nell'ottobre 2008 dal nucleo operativo radiomobile di Corleone e destinato ad altra sede nel settembre scorso, dopo che da tempo gli era stato recapitato l'avviso di garanzia. All'ufficiale è contestata la violazione del segreto d'ufficio, perché – stando alle accuse – avrebbe fornito alla sua compagna, una nota imprenditrice della valle, informazioni che sarebbero dovute rimanere riservate. L'indagine sta ora scendendo lungo il Brembo: tra gli indiziati pure un militare della Compagnia di Bergamo, sospettato di essere coinvolto in alcuni dei reati contemplati dall'inchiesta.
Il corvo e il suicidio
Un'inchiesta che s'è forse lasciata dietro una vittima, il brigadiere suicidatosi nel suo ufficio nel novembre 2010. Figurava tra gli indagati e, ipotizza qualcuno, probabilmente non ha retto alla pressione e all'onta, lui che aveva alle spalle una carriera senza macchie. Anche in questo caso è però arduo stabilire se il tragico gesto sia dovuto o meno alle indagini in corso.
È invece certo della consequenzialità l'autore delle due lettere anonime fatte circolare in questi mesi. Missive dalla sintassi e dall'ortografia traballanti, ma molto documentate e compilate con parole talmente partecipate che finiscono per sconfinare nell'invettiva contro chi sta indagando e contro alcuni colleghi accusati di fare da quinta colonna agli investigatori. Per questo non è campato per aria supporre che il «corvo» sia proprio un carabiniere. Se non uno di quelli indagati, almeno uno che da questa inchiesta è stato danneggiato.
Stefano Serpellini – L'Eco di Bergamo
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