abete-bianco-roncobello Roncobello – La legge che, con nuove norme, tutela gli alberi monumentali fa riemergere anche la memoria e la storia che, nel suo corso, è passata accanto a quei tronchi. Sono le storie popolari, alcune forse leggende, altre romanzate, altre ancora chiaramente documentate negli archivi dei paesi. Roncobello, come molti altri comuni della Bergamasca, ha i suoi grandi alberi, un faggio e un abete bianco e a entrambi è collegato un racconto. Il vecchio faggio ha 300 anni e lo si può ammirare lungo la che conduce a Mezzeno. Il tronco contorto e la sua grande chioma gli danno l'aspetto di un vecchio saggio. È alto 20 metri e la circonferenza del suo tronco è di 3,70 metri. La sua storia non è tramandata solo da una tradizione orale, ma è documentata. Gianni Milesi, alcuni decenni fa, in una pubblicazione periodica, ricordava di quando, nel suo lavoro di impiegato comunale, gli capitò sottomano un documento che comprovava una storia della prima metà del Novecento, già del resto ben nota in paese. Il figlio dell'allevatore A Mezzeno, a monte dell'abitato, giungevano molti allevatori. Fra loro c'era Bassano Granati, persona facoltosa che poteva permettersi di vivere al di Roncobello. Saliva in alpeggio ogni due o tre giorni per verificare il lavoro dei mandriani. Granati aveva due figli ma uno morì di malattia.

Quando il Comune decise di far tagliare alcuni alberi nella zona, egli chiese di salvarne uno in memoria del figlio. Milesi ha ritrovato il documento che stabiliva una convenzione fra Granati e il Comune. Il Comune esonerava dal taglio quella pianta, dietro il versamento, da parte dell'allevatore, della somma allora ragguardevole di 45 lire. Sul tronco venne posto un cartello: «A ricordo di Marco Granati».

Il padre, divenuto anziano, poi non tornò più a Roncobello e il cartello, deterioratosi, non fu più rimpiazzato, ma la storia è stata riportata anche nella pubblicazione «Sussurri di montagna: Il «Pinetù», lasciato crescere in ricordo di un giovane morto al fronte il Valsecca racconta» realizzata nel 2007 dalla scuola primaria. La storia legata invece allo splendido abete bianco, alto 46 metri, poco più a del faggio, non trova riscontri documentati, né memoria diretta. Il racconto è stato pubblicato sul volume edito dalla Provincia ed emerge dalla testimonianza di Gian Giacomo Della Torre, un magistrato inviato nel 1959 in alta Valle Brembana come presidente di un seggio elettorale. Durante una passeggiata raggiunse Roncobello, dove si fermò davanti alla bellezza del grande abete bianco. Secondo i suoi scritti, un contadino locale gli raccontò la storia legata a quell'albero, che narrava di un pastorello che, nei primi del Novecento, con il falcetto incise il suo nome sul tronco.

Il pastorello e la guerra Chiamato poi al fronte per la prima guerra mondiale, il giovane morì e il padre, quando seppe dell'imminente taglio di quel bosco, bloccò le scuri e acquistò l'albero su cui era inciso il nome del figlio. Da qui la storia del «Pinetù», come scrive Della Torre. Nome che però non dice nulla agli abitanti della zona. Della storia del pastorello, di cui non è citato il nome, purtroppo non c'è traccia visibile né sul tronco, né nei documenti. Forse storia, forse leggenda. Le due vicende si somigliano parecchio e ci si chiede dove finisca la storia e dove inizi la leggenda. L'unica cosa certa è che in montagna la storia degli uomini si intreccia con quella della terra, del bosco, della roccia. a volte confonde i contorni e mescola i fili dei racconti, ma il legame fra uomo e montagna sarà la traccia di una storia infinita.

Monica – L'Eco di Bergamo