I pionieri brembani del fotoritocco
Senza categoria Articolo letto da 120 utenti - Pubblicato il 2 Agosto 2013Valle Brembana – Disegno e fotografia, evoluzione e contrasto dell'umano «immaginare». Un passaggio epocale nell'eterno sforzo di raffigurare la realtà rivive magicamente dal 3 agosto a Moio de' calvi, in Alta Val Brembana, dove viene inaugurata la mostra «Dal disegno alla fotografia, l'evoluzione di due artisti», patrocinata dal Comune con la collaborazione della Provincia di bergamo. In mostra ci sono studi e scatti di Eugenio e Fulvio Goglio, padre e figlio, pionieri della fotografia. «È un evento inedito – sottolinea Cristiana Oldrati Goglio, curatrice della mostra con Mario Grasso –, il primo in cui convivono i due artisti e soprattutto la prima occasione in cui vengono presentati in pubblico i lorodisegni».
Eugenio e Fulvio Goglio erano bisnonno e nonno di Cristiana, che negli ultimi anni ha avviato un attento lavoro di ricerca e catalogazione, digitalizzando le antiche lastre conservate nella soffitta di famiglia. «In quella soffitta – conferma Cristiana – ho rintracciato alcune cartellette con disegni di Fulvio ed Eugenio. È stata un'emozione grandissima: conoscevo gli studi e la maestria artistica di entrambi, ma alcuni bozzetti hanno aperto scenari inaspettati. C'è la conferma che gli scatti erano preparati con veri e propri bozzetti a tavolino. La posa dei protagonisti non era mai casuale e in diversi casi ci sono incredibili analogie fra alcuni disegni e i particolari del ritratto fotografico successivamente realizzato». Le conoscenze venivano tramandate di padre in figlio, tanto che anche Dolores, figlia di Fulvio, collaborò all'attività dello storico studio di piazza brembana. «Era specializzata nei cortei funebri – segnala Cristiana – perché per le cerimonie festose in chiesa era vietato l'accesso all'altare da parte delle donne».
Eugenio e Fulvio Goglio, a cavallo dell'800 e del '900, utilizzarono le proprie conoscenze del disegno per armonizzare e creare fotografie uniche e importanti dal punto di vista umano e storico. La fotografia era ancora agli albori e le limitazioni dovute agli strumenti venivano sopperite dalle capacità del fotografo, che non era solo colui che scattava le fotografie, ma era il custode di un'arte che il digitale «usa e getta» dei giorni nostri non lascia comprendere nella sua reale importanza. «Interessante – aggiunge Oldrati Goglio – è la varietà di dimensioni e spessori delle lastre in vetro, un segno dell'evoluzione e dei tempi. Eugenio fu uno dei primi fotografi italiani e iniziò a lavorare quando il commercio delle lastre preconfezionate era inesistente. Anche Fulvio ebbe questo problema, nelle ristrettezze del periodo fra le due guerre. Entrambi impararono a miscelare i componenti chimici per creare l'emulsione al bromuro d'argento che, stesa su un pezzo di vetro, permetteva di creare una lastra impressionabile e quindi di scattare una fotografia».
C'erano tempi di posa molto lunghi e spesso alcuni particolari risultavano mossi. Da qui la necessità del ritocco, che di nuovo richiedeva maestria nel disegno e precisione estrema, dato che si lavorava su dimensioni ridottissime. Il ritocco veniva fatto su negativo, lavorando sull'emulsione impressionata, oppure su positivo, cioè sulla foto sviluppata. Fra i ritocchi «su negativo », esemplare quella dell'uomo in camicia (scelta per la locandina della mostra), proveniente dal Fondo Goglio della provincia di bergamo. «Stampando dal negativo originale – spiega Cristiana – la foto avrebbe avuto una parte bianca troppo evidente. Sulla gelatina della lastra, Eugenio disegnò le righe della camicia, il farfallino e arricchì lo sfondo (un semplice lenzuolo) con pieghe e ombre». Il ritocco su positivo è sintetizzato invece dal ritratto che Fulvio Goglio fece del piccolo figlio Eugenio, un anno dopo la scomparsa dell'omonimo nonno.
Al tempo le fotografie erano solo per occasioni speciali e la Eugenio Goglio, «Uomo con bastone». Due elementi che portarono in voga la consuetudine di fotografare le persone morte, soprattutto i bambini: il fotografo poteva donare ai genitori un ricordo duraturo. Si ritoccavano le fotografie in modo che il bambino sembrasse ancora vivo. «Il piccolo Eugenio morì pochi mesi dopo la nascita – spiega Cristiana – e Fulvio lavorò alacremente sul positivo, al punto che a una minima distanza non si nota il corposo ritocco. Disegnò il lenzuolo, i radi capelli, ritoccò le dita di mani e piedi per ottenere una posizione più naturale». Gli occhi del piccolo Eugenio sono un vero e proprio capolavoro: Goglio, padre e artista, «immaginava» il futuro.
Giambattisdta gherardi – L'Eco di Bergamo
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