calvi5I risultati di un'indagine a sorpresa effettuata la scorsa estate. Valoti del Cai: «Dobbiamo migliorare l'informazione e le lingue». Rifugi lombardi (e tra loro anche cinque orobici che si sono sottoposti ai test) promossi per qualità delle strutture, per la , la cucina e l'accoglienza. Con l'eccellenza dei prodotti tipici e, invece, la comunicazione – al cliente che alloggia ma anche all'esterno – ancora un po' da affinare. Sono alcuni dei risultati emersi ieri, al Palamonti di , dal convegno indetto dal settore Turismo della , dall'«Associazione italiana cultura e qualità» del Centronord (Aicq), dal Cai e da Assorifugi Lombardia, dal titolo «Il rifugio: un'esperienza di qualità», nell'ambito di un progetto interregionale «sulla montagna per la destagionalizzazione delle presenze turistiche, attraverso la valorizzazione delle tipicità locali».

Presenti, tra gli altri, il consigliere regionale Carlo Saffioti e il presidente della Commissione regionale rifugi e opere alpine Carlo Alfredo Pessina. L'incontro rappresentava la fase conclusiva di un percorso iniziato la scorsa primavera con un corso di formazione per i rifugisti svoltosi nella sede della Regione Lombardia a Lecco.

longoValutati ben 263 aspetti
Da qui è poi scaturita un'indagine a 360 gradi sulla qualità dei rifugi, a cui hanno aderito 20 strutture, tra cui i rifugi bergamaschi Alpe Corte ad Ardesio, Baroni a Valbondione, Tagliaferri a Schilpario, Benigni a Ornica, Laghi Gemelli a Branzi, quindi il Grassi (nel Lecchese ma con accesso anche da Valtorta) e il Cazzaniga (sempre nel Lecchese, ma raggiungibile pure da o Valtorta).

«Escursionisti misteriosi» – così sono stati chiamati –, dopo adeguata formazione, la scorsa estate, hanno alloggiato in incognita, per due giorni nei rifugi svelando la propria identità solo al termine del soggiorno. A quel punto sia il rifugista sia l'escursionista hanno compilato separatamente una griglia di ben 263 domande relative alla qualità della struttura, del servizio, della sicurezza e la valorizzazione dei prodotti tipici. Alcuni esempi: «È stato offerto un prodotto di benvenuto?», «Il gestore conosce i principali itinerari turistici?», «Esiste un deposito per zaini?».

gemelliProdotti tipici il punto di forza
I risultati sono stati resi noti ieri, in sede privata a ciascun gestore, al termine del convegno. «Il punto di forza dei rifugi, anche per quelli bergamaschi – spiega Antonella Pamploni Scarpa 'Aicq – è sicuramente la valorizzazione dei prodotti tipici». E la conferma arriva da Paolo Valoti, presidente del Cai di Bergamo, che ha collaborato al progetto. «Spesso i rifugisti, nella propria autovalutazione – spiega Valoti – sottovalutavano proprio questo fattore a cui, invece, l'”escursionista misterioso” dava un punteggio più alto. Questo serve al gestore per capire l'importanza di aspetti magari ritenuti poco rilevanti per i propri clienti».

«Il livello dei nostri rifugi è sicuramente alto – prosegue Valoti – sia come strutture sia per quanto riguarda accoglienza e cucina. Ormai è stata superata la fase in cui si considerava il rifugio solo come un ricovero di fortuna: i rifugi sono anche un presidio ambientale e di sicurezza, un presidio culturale dove si vive un'esperienza familiare e coinvolgente e ora anche un presidio educativo visto che, per esempio, la scorsa estate in un nostro rifugio venti ragazzi di un Centro di formazione professionale, hanno fatto uno stage, gestendo direttamente la struttura». «Quello che occorre migliorare, invece – prosegue Valoti – è la comunicazione, per esempio tramite Internet, delle opportunità che si possono vivere nei nostri rifugi. E in tal senso il Cai di Bergamo ha dotato il Coca, il Curò e l'Albani di banda larga, in modo da poter gestire le prenotazioni via rete direttamente dal rifugio.

benigni«Informare sempre il cliente»
Per Pamploni Scarpa resta anche da potenziare l'accoglienza dell'escursionista: «Occorre migliorare il modo con cui si ospita, le capacità di dare informazioni su eccellenze e limiti del proprio rifugio. Per fare un esempio: se all'arrivo del cliente nel rifugio c'è un disagio, manca l'acqua calda o non c'è la luce, questo va comunicato col sorriso. Il disagio non deve diventare un problema, anzi va valorizzato perché vivere in un rifugio deve restare un'esperienza di vita. Occorre, quindi, imparare a dialogare il più possibile con l'escursionista». E poi le lingue straniere. «Di fronte a una clientela che arriva anche dall'estero – concludono sia Valoti sia Pamploni – occorrerà saper comunicare almeno in una seconda lingua».

Giovanni Ghisalberti – L'Eco di Bergamo