Ancora «code» alle seggiovie di Foppolo e Brembosuperski. Non per timbrare lo skipass (manca ancora un mese all'accensione ufficiale degli impianti di risalita) ma per avere un posto di lavoro. Succedeva lo scorso anno e succede anche ora: la crisi in Valle Brembana continua a farsi sentire. Ultima, in ordine di tempo, la prospettata chiusura della Valbrem di Lenna. E il turismo diventa sempre più una delle poche opportunità di lavoro rimaste in valle, opportunità a questo punto su cui puntare anche in futuro, visto il destino che sembrano avere le fabbriche. Lo scorso anno alla società di gestione delle seggiovie, a fronte di una sessantina di posti di lavoro disponibili (tra addetti agli impianti di risalita, macchinisti, personale alle biglietterie) erano arrivate oltre cento richieste di impiego.

Richieste anche da fuori valle
Quest'anno – forse anche per le scarse possibilità che si erano avute all'ultima stagione – le domande sono per ora una cinquantina, anche da Valbrembo e Azzano. Tanti giovani ma anche cinquantenni (qualcuno tra i dipendenti della Valbrem), alle prese con difficili condizioni economiche. Si cerca lavoro stagionale, da dicembre ad aprile, anche se, magari, si è alla prima esperienza nel settore. «Ma sui 60 posti disponibili – dice Beppe Berera, sindaco di Foppolo e presidente della società che gestisce gli impianti di risalita – circa la metà sono appannaggio di personale “storico” che da anni svolge le stesse mansioni». Ne restano una trentina, con la priorità che in genere viene data a chi abita più vicino e con attitudini particolari per il lavoro che si andrà a svolgere.

Un boom di richieste, mentre fino a pochi anni fa la stazione sciistica faceva fatica a trova personale. «Le tante domande sono il segno della crisi economica ma anche della rinnovata fiducia nello sviluppo del comprensorio sciistico e nelle possibilità di lavoro offerte dal turismo – dice Berera –. Ci sono che, alcuni anni fa, abbandonarono il posto alle seggiovie. La stazione sciistica non navigava in buone acque e, giustamente, qualcuno scelse un posto più sicuro in fabbrica. Ora la situazione si è capovolta ma, purtroppo, non possiamo reintegrare tutti».

Se c'è affollamento nelle richieste di lavoro per gli impianti, non altrettanto può dirsi per e ristoranti. Perché gli hotel continuano a «rifornirsi» di personale soprattutto straniero o proveniente dal Sud Italia. Pochi i lavoratori della valle. «Da anni lavorano con me tre romeni – dice Piero Mainetti, titolare 'albergo “La Sponda” di Valleve – e sono bravissimi. Non li cambierei mai. Ma la carenza di dipendenti della valle è frutto di una cultura che risale a 20-30 anni fa, quando tutti, qui in valle, volevano andare a lavorare in fabbrica per essere liberi il sabato e la domenica. E anche oggi la situazione non è molto diversa». «Ho 17 dipendenti – aggiunge Veniero Curti dell'hotel Cristallo – soprattutto extracomunitari e pugliesi. Ai giovani manca un po' di spirito di sacrificio: il posto agli impianti va bene perché alle 17 finiscono e sono liberi, ma le sere dei weekend al lavoro in albergo no».

«Cambiamo mentalità»
«Richieste di lavoro – conferma Ilaria Invernizzi dell'hotel Sant'Ambroeus – sono arrivate soprattutto da romeni, almeno una decina». E Mainetti punta un po' il dito contro l'istituto alberghiero di San Pellegrino. «Oggi, giustamente – dice – gli studenti vengono indirizzati all'eccellenza: fanno esperienze importanti nei grandi hotel stranieri e in valle non resta nessuno. Anche io, dopo la scuola, sono stato all'estero, ma poi ho messo al servizio dei nostri paesi quello che avevo imparato in giro per il mondo. Va bene l'alta qualità, ma servirebbe far capire ai ragazzi che il lavoro in un albergo o in un ristorante della valle è altrettanto dignitoso».

«Visto quello che sta accadendo alle industrie – conclude Berera – il turismo per noi diventerà la risorsa economica più importante. Ma occorre cambiare mentalità e l'approccio nei confronti dell'ospite: in questo senso dobbiamo ancora crescere e acquisire professionalità. Le possibilità le abbiamo e dobbiamo finirla – conclude provocatoriamente – di dirci solo capaci di fare i “lavapiatti”».

Giovanni Ghisalberti – L'Eco di Bergamo

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