Donato CalviNel ‘600 il religioso fece un'inchiesta sulla diocesi Da preti e badesse 333 risposte. Ecco il libro. Oggi pomeriggio alle 17 nel Museo Bernareggi (via Pignolo 76, Bergamo) ci sarà la presentazione del libro «Donato . Delle chiese della diocesi di Bergamo», primo volume della collana «Fonti e strumenti per la storia e l'arte di Bergamo». Intervengono: Giulio Orazio Bravi (Biblioteca Mai), Simone Facchinetti (conservatore del Bernareggi), Giosuè Bonetti e Matteo Rabaglio (curatori del volume) e Mario Rosa (accademico dei Lincei).

Donato Calvi, chi era costui? Non fosse per l'attenzione riservatagli da ricercatori e da studiosi di cose bergamasche c'è anche per lui il rischio di essere considerato come il celebre personaggio manzoniano. E a dir il vero Bergamo non ha fatto molto per ricordare il priore del monastero di Sant'Agostino il quale, oltre ad essere tra i fondatori dell'Accademia degli Eccitati e lettore di logica, filosofia e teologia insegnando per vent'anni a centinaia e centinaia di giovani, è senz'altro tra le figure di maggior rilievo del panorama letterario del Seicento.

Il nome di Donato Calvi non lo si trova né scorrendo l'elenco toponomastico delle vie, dove un «contentino» di solito non lo si nega a nessuno, né tra le intestazioni di strutture educative cittadine (scuole o altro). Forse non gli hanno giovato le riserve degli storici, Bortolo Belotti compreso, per mancanza di critica e di rigore, superficialità e credulità di cui abbondano i suoi scritti; accuse rivolte al Campidoglio de' guerrieri e alla Scena letteraria , fino a coinvolgere l'opera sua più famosa, Effemeride sagro profana di quanto di memorabile sia successo in Bergamo sua Diocese, et territorio , data alle stampe tra il 1676 e il 1677.

Ma non è un caso che la collana «Fonti e strumenti per la storia e l'arte di Bergamo» venga inaugurata proprio dalla pubblicazione di un'opera dell'abate Donato Calvi, a cura di Giosuè Bonetti e Matteo Rabaglio, con prefazione di Mario Rosa. L'opera è frutto di un questionario con sedici domande che lo stesso aveva inviato ai parroci della Diocesi per raccogliere informazioni da utilizzare poi per l'Effemeride.

Si tratta dei tre volumi manoscritti Delle chiese della diocesi di Bergamo , conservati alla civica biblioteca «Angelo Mai», nei quali sono rilegate le 333 risposte che curati, vicari foranei, priori e badesse fecero pervenire al priore di Sant'Agostino. Sono in tutto 679 carte che lo stesso Calvi, una volta ricevute, numerò cercando di portare ordine a un gran quantità di materiale estremamente vario.

Indagine e questionari
L'indagine, che si svolse nel decennio tra il 1661 e il 1671, si basa su questionari a stampa contenenti una serie di domande relative ad argomenti molto diversi. Dall'originale dell'unico esemplare superstite tra i questionari, inviato al curato della chiesa cittadina di San Michele dell'Arco, apprendiamo che le domande erano quindici e che spaziavano dalle notizie sulle origini della chiesa alla data della sua consacrazione, dalla presenza di pitture e di sculture, di reliquie e di organi, dalle confraternite alle processioni solenni, e via via fino alle feste principali, alle iscrizioni antiche o «altre memorie degne», alle immagini e Madonne miracolose.

E il curato fece del suo meglio utilizzando per scrivere gli stessi margini bianchi della scheda. Le 333 risposte – che hanno costretto i due curatori a un estenuante lavoro di decifrazione prima che di trascrizione (un'impresa che ha richiesto tempi lunghissimi, oltre che grande pazienza e un'autentica passione) – sono estremamente varie: laconiche, di poche righe, o di molte pagine, cui si aggiungono elenchi di reliquie e resoconti di apparizioni.

Sottolineano Bonetti e Rabaglio: «Dalla disomogenea e ineguale dovizia di informazioni presenti nelle relazioni è possibile trarre una molteplicità di piste d'indagine, oltre che un attendibile spaccato della realtà nella seconda metà del XVII secolo: le devozioni verso Madonne e immagini miracolose, il loro soccorso nelle difficoltà del vivere, segnatamente in occasioni di incidenti e di malattia, e le loro manifestazioni nei luoghi del quotidiano, soprattutto presso antri o sorgenti d'acqua; gli esercizi devoti, le prediche e i quaresimali; le confraternite, quelle consegnate dalla storia, come i disciplini di santa Maria Maddalena, e quelle prodotte dal riformismo tridentino, Santissimo Sacramento, Rosario e Dottrina cristiana, protagoniste della vita associativa e capillarmente diffuse a presidio dell'ortodossia cattolica; i programmi artistici, iconografici, decorativi e musicali, come la progressiva diffusione dell'organo e delle campane…».

Pur nella sua eterogeneità ai ricercatori non era sfuggita l'importanza fondamentale di tutto questo materiale, per altro di difficile lettura. Si ha, ad esempio, la prima sistematica indicazione sulle opere d'arte conservate nelle chiese bergamasche. Ma vi sono anche annotazioni che, sia pur marginali e non pertinenti, riguardano l'economia di alcune località, l'emigrazione, la povertà dei paesi di montagna (come Selvino che «abbonda solamente di fieno»), o addirittura la storia dell'alpinismo, con la notizia di quella che si può ritenere la prima salita – siamo nel Seicento – del Pizzo dei Tre Signori (allora chiamato Cingio).

Qua e là affiora il meraviglioso e il favolistico, che ben conosciamo nelle pagine della Effemeride . Come il racconto, a proposito della chiesa di Pontida, sulla presenza di un drago che si celava nei folti boschi della da dove insidiava i viandanti e ammazzato da un componente della famiglia Alborghetti. E vi sono pagine molto piacevoli, oltre che del tutto inedite, da leggere come quelle scritte dal curato (purtroppo anonimo) di Mapello, il quale, a differenza di quanto di solito avveniva in occasione delle visite pastorali, libero da soggezioni nei confronti dell'augusto visitatore, senza le ansie e i patemi che potevano suscitare la presenza di un pignolo cancelliere, si lascia andare in una vivace descrizione di Mapello; la prima, crediamo, di questo genere sulla località.

Il paese dell'Isola era – nella descrizione del curato – luogo di delizie per «la gioconda amenità del paese e la salubre piacevolezza dell'aria». Per non parlare del panorama che si gode dalla chiesa parrocchiale che, come è noto, si trova in alto: si va con lo sguardo dai monti brembani al colle di San Vigilio, agli Appennini e addirittura (allora sì era possibile, senza inquinamento e tutto l'ingombro di edifici, ciminiere, pali, tralicci), fino il Duomo di Milano.

Preti, caccia e
Sulla sommità di una delle sei torri tra le case di Mapello (cinque delle quali sono «machine nerborute et eccelse»), continua il relatore, i proprietari praticano la caccia: «una dilettevolissima uccellagione». E si pescano anche pesci in gran quantità nel vicino torrente. Ma si vede che la caccia è proprio nel sangue di noi bergamaschi perché, più avanti nella sua descrizione, il curato si distrae di nuovo e torna a parlare di caccia citando, con la presenza di dodici roccoli, la cattura di «… quaglie, quagliotti, moratti, bortolani, fisoni, tordi, tordini, pole, frangueli, cedole, et qualche pernici et altri uccelli…».

E per finire ci informa che uscendo dal paese, come probabilmente era solito fare, «per una piacevole caminata e dilettevole ricreazione» si andava verso «una ripetta sopra alla quale si vede un ben aggiustato roccolo». Che il nostro curato fosse anche lui un appassionato cacciatore?

Pino Capellini – L'Eco di Bergamo