rifugisteGiovani mamme, architetti e cameriere. In le donne d'alta quota. Donne che vivono ad alta quota, oltre i 2.000 metri, da giugno a ottobre: non sono alpiniste di professione ma architetti, mamme, studentesse, cameriere e tecnici forestali. E non siamo sull'altopiano affollato di Città del Messico ma negli isolati rifugi delle Orobie occidentali, in Brembana e valli confinanti. Loro sono le rifugiste orobiche, ventenni e trentenni che non hanno paura dell'isolamento, che sopperiscono alla forza fisica maschile con grandi capacità organizzative, con la dolcezza, l'abilità di sapersi adattare all'essenziale e soprattutto con uno sconfinato amore per la montagna.

Perché altrimenti non si spiegherebbe quella che è una scelta di vita spesso così radicale, scelta che le rende forse un po' folli agli occhi di chi è abituato a una vita di sicurezze: loro vivono per tre-quattro mesi all'anno accanto alle vette, circondate solo da rocce e prati e come amici gli escursionisti di passaggio, qualche alpeggiatore o gli stambecchi.

Eppure il rifugista non è più solo uomo, anzi sembra che, a lungo andare, diventerà proprio una professione soprattutto femminile. Le rifugiste delle Orobie occidentali si racconteranno tutte insieme, per la prima volta, all'incontro organizzato dal Club alpino italiano, stasera, a Olmo al Brembo. Sarà l'occasione per ascoltare dalle sentinelle delle nostre emozioni e difficoltà di una vita ad alta quota, a servizio dei camminatori orobici.

L'esempio più emblematico è forse quello di Elisa Rodeghiero, 32 anni, di Sant'Omobono, dal 2006 titolare del «Cesare Benigni», in territorio di Ornica, un vero e proprio «rifugio delle donne» visto che prima di Elisa altre due ragazze l'hanno gestito. Elisa non ha saputo rinunciare alle altezze del rifugio e alle sue scomodità neppure in dolce attesa e neppure una volta diventata mamma. La scorsa estate ha gestito il rifugio con l'aiuto del marito e dei famigliari, e accanto il piccolo Federico.


6-03-2009 Olmo al Brembo – Serata in Rosa con le rifugiste delle Orobie

«Il ricordo più bello di questi anni – dice Elisa – è stato proprio quando ho portato Federico lungo il , fino al rifugio. Non aveva ancora sei mesi ma poi, quando sono arrivata lassù e con lui ho trascorso l'estate, ho visto che era possibile vivere con un bambino così piccolo anche in alla montagna». Nessuna paura, quindi, dell'isolamento e delle poche comodità che un rifugio offre. D'altronde non è per tivù e divertimenti che si vive ad alta quota per un'intera estate.

«Al mio rifugio arriva solo chi ama veramente la montagna perché è difficile da raggiungere – dice Serena Sironi, 31 anni, architetto di Lecco e gestore del rifugio Falc (acronimo che sta per «Ferant alpes laetitiam cordibus», ovvero le Alpi portino letizia ai cuori) ai piedi del Pizzo dei Tre Signori, nel Comune lecchese di Ballabio -. Qui la vita è estremamente spartana e questo aiuta ad apprezzare al massimo ogni piccola cosa».

Per l'uomo, in genere – continua Serena -, questa vita è vista soprattutto come un lavoro da cui trarre profitto, mentre per noi donne forse è più una passione. Il rifugio diventa un po' la nostra casa e rispetto ai colleghi maschi curiamo di più i particolari, la cucina e l'accoglienza degli ospiti». Giovanissima e alla prima esperienza come rifugista dalla scorsa estate è Jessica Ruffinoni, 25 anni, di Roncobello, titolare del rifugio Dordona, nel Comune di Fusine, in provincia di Sondrio (si raggiunge anche dal sentiero delle Orobie). «A volte mi capita di essere da sola in rifugio – dice – e per di più qui i cellulari non prendono. Ma il silenzio non mi fa paura come non mi mancano i divertimenti che forse un giovane cercherebbe d'estate».

Nel resto dell'anno Jessica lavora in un ristorante della Valle Brembana ma il sogno resta quello di fare la rifugista. E la passione per la montagna non le manca visto che già a 18 anni aveva salito le vette del Rosa e del Bianco. C'è poi chi in rifugio ha conosciuto anche il compagno con cui condividere la vita. È capitato a Elisa Rodeghiero e a Rossella Begnis, 30 anni, di Lenna, che da sette anni gestisce il Longo, sopra Carona, con il fidanzato Enzo Migliorini. «Ci siamo conosciuti nel 2001 e da allora mi sono innamorata di lui e del rifugio – dice Rossella -. Enzo, però, mi aiuta solo in agosto, quando è in ferie, perché il resto dell'anno è artigiano a Grassobbio e io gestisco il rifugio con il cuoco e altri aiutanti».

«Tante donne, è vero – continua Rossella -, oggi gestiscono i rifugi ma non sempre gli escursionisti si fidano: in molti chiedono ancora informazioni solo a Enzo anche se la montagna la conosco pure io». Ma perché una giovane decide di vivere in alta montagna? «Forse è ancora più stimolante che per un uomo – continua la rifugista del Longo -.

Qui in valle è un'opportunità diversa rispetto a chi fa il pendolare o all'ufficio ma, certo, deve piacere. Perché devi fare a meno di televisione, comodità e divertimenti, aspetti, peraltro, di cui non sento proprio la mancanza». «Fino a 30 anni fa il lavoro in rifugio era redditizio – aggiunge Anna Bortoletto, 31 anni, di Ballabio, tecnico Ersaf e gestore del Grassi, in territorio di – ed era quasi esclusivo degli uomini. Oggi si fa ancora tanta fatica ma rende molto meno e, così, come in tanti altri lavori, si sono fatte avanti le donne». Tanta fatica ma anche un punto di vista privilegiato per vivere la montagna. «Salire quando c'è ancora la neve o poter ammirare un'alba o un tramonto restano esperienze straordinarie, ogni volta», conclude Elisa Rodeghiero. Ancora più straordinarie, probabilmente, se vissute da mamma col proprio figlio appena nato.

Giovanni Ghisalberti – L'Eco di Bergamo

altre immagini della serata in Rosa con le rifugiste delle Orobie