E la Val Brembana rinasce con… lo zafferano
Senza categoria Articolo letto da 330 utenti - Pubblicato il 1 Novembre 2015La val brembana prova a rinascere con un fiore. Da due anni alcune famiglie, raccogliendo l'invito del vicariato e dell'associazione Gente di montagna, hanno iniziato a coltivare lo zafferano. Un esperimento che sta mettendo radici, tanto da gettare i semi di una nuova microeconomia su un territorio che più di altri è stato inaridito dalla crisi. Tutto è partito dall'intuizione del vicario, don Alessandro Beghini. «Ci siamo chiesti che tipo di Chiesa vogliamo essere in questo tempo – spiega – . Non possiamo occuparci solo di liturgia, ma anche dei giovani che perdono il lavoro e abbandonano queste terre. Il mito dell'andare a far soldi in città è tramontato, occorre riscoprire alcune risorse e ricreare i legami perduti. Abbiamo incontrato gente di altre valli per capire quali soluzioni adottare. E abbiamo capito che servivano azioni concrete». Come acquistare dei bulbi e piantarli nel terreno. «Abbiamo scelto lo zafferano perché ci serviva un'idea originale, che suscitasse curiosità e facesse da catalizzatore». La gente ha cominciato a informarsi, cinque famiglie hanno iniziato la coltivazione su piccoli appezzamenti. Per partire basta un investimento di 150 euro, se va bene con il primo raccolto si arriva già a coprire la spesa. Poi i bulbi si riproducono e i fiori aumentano. Lo zafferano rende fino a 40 euro al grammo, ne basta poco per racimolare un piccolo gruzzolo.
«All'inizio serve a mettere da parte qualche soldo, magari per comprare la bici alla figlia – spiega Davide Torri, presidente dell'associazione Gente di Montagna –, ma con il tempo l'attività può generare ricavi che integrano il reddito familiare. E così non si è costretti ad andare tutti a lavorare in città: almeno un membro della famiglia rimane sul territorio, contribuendo a rivitalizzarlo».
Oggi sono quindici le famiglie della valle che coltivano lo zafferano. Si incontrano ogni mese, si conoscono, si scambiano esperienze. «La gente ha iniziato a uscire di casa, ha rotto l'isolamento – spiega Torri –. È nato un gruppo su cui impostare ulteriori azioni. Come quella del gruppo di acquisto solidale. Compriamo farina, pasta e riso in un negozio della valle: ecco un'altra ricaduta positiva sul territorio». Da cosa nasce cosa: lo zafferano viene fornito a un panettiere di Branzi, che ogni sabato sforna un saporito e richiestissimo pane ‘giallo'. Ma i pregiati pistilli sono utilizzati anche come ingrediente dal birrificio Via Priula e da alcuni ristoranti. Da poco è nato il marchio dello zafferano ‘Olg': acronimo che sta per ‘Oltre la Goggia'. La ‘gògia', ago in dialetto, era una roccia che svettava all'altezza di lenna, crollata con la costruzione delle gallerie. ‘Oltre' va letto in due sensi: «L'idea dello zafferano ha coinvolto i paesi da Lenna in su, ma si è estesa anche a valle. Anzi, ora c'è chi pianta i bulbi anche in Valle Imagna e Seriana. Il progetto è aperto e inclusivo ». Chi aderisce scopre un senso di appartenenza che gratifica, stimola e rafforza i rapporti sociali.
«Abbiamo acquistato in comune una speciale bilancia e la pesatura è diventato un vero rito – racconta don Alessandro –. Anche questo è un modo di condividere. Senza contare che dal confronto nascono nuove proposte: ora qualcuno sta iniziando a coltivare anche i frutti di bosco». Il gruppo sembra non fermarsi più. «Siamo stati anche a Friburgo e Monaco per studiare i quartieri a impatto zero: stiamo imparando nuovi modi di abitare e di custodire l'ambiente che ci è stato affidato». Lo stesso don Alessandro ha messo a disposizione alcuni terreni parrocchiali, l'ambizione è coinvolgere anche alcuni disoccupati. «Va sottolineata l'importanza della presenza femminile – rimarca Torri –. Sono state le donne, come spesso accade in montagna, il motore del progetto. All'inizio erano timide, ora vanno in giro a raccontare come si sta sviluppando l'attività ». La ‘rivoluzione' dello zafferano coinvolge tutti. Persino la politica. «I comuni stanno iniziando a sostenerci. I sindaci hanno 100 mila cose cui pensare, non ci si può aspettare che siano loro a lanciare queste iniziative – osserva don Alessandro – non si può delegare tutto alla politica. Il cristiano deve impegnarsi».
Dal quotidiano Avvenire
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