Presentazione-Libro-Taleggio3Val Taleggio – Un passato millenario fatto di e formaggio. Quello poi diventato famoso, prodotto (ahimè anche fuori dalla sua terra) ed esportato in tutto il mondo. E un futuro che, per risollevare una nobile terra decaduta, guarda ancora al passato. Mille anni di storia della Valle Taleggio, un tempo considerata la «piccola Svizzera della Bergamasca », sono raccontati nel nuovo libro di Arrigo Arrigoni, ex sindaco di Vedeseta, presentato recentemente nella sala polivalente di Vedeseta, realizzato dai Comuni di Taleggio e Vedeseta e dall'Ecomuseo.

Presenti il presidente del Centro storico culturale della Brembana Tarcisio Bottani, il sindaco di Taleggio , il sindaco di Vedeseta Silvestro Arrigoni, il presidente del Gal Piero e i presidenti dei Consigli provinciali di Bergamo, Roberto Magri, e di Lecco Carlo Malugani. Innanzitutto i «dati impietosi » come li definisce lo stesso Arrigoni, quelli sulla popolazione. A fine Ottocento la valle contava 2.850 abitanti. È il periodo dell'emigrazione in America e, dal solo comune di Taleggio, partono addirittura in 732. Ma la popolazione cresce comunque, toccando nel 1921 il piccolo di oltre 3.000 abitanti.

Oggi i due comuni insieme non superano le mille unità.La fortuna della Valle Taleggio è però legata in maniera indissolubile al formaggio e al suo nome. È il 1909 quando gli «Strachini di Taleggio» vincono la medaglia d'oro all'Esposizione internazionale di cucina a Parigi. A fine Ottocento, poi, l'abbandono del formaggio di monte a favore di «stracchini cosiddetti di Gorgonzola », scrive uno storico dell'epoca. È l'avvento dello Strachitunt «forse figlio di una contaminazione della cultura casearia della Bassa – a sua volta fortemente debitrice della cultura alpina – e cultura casearia dei malghesi. Quello Strachitunt riscoperto negli anni scorsi dal casaro di Vedeseta Guglielmo Locatelli e ora con marchio Dop limitato alla valle (con e Blello).

Economia casearia che a sua volta rappresenta uno dei motori fondamentali del turismo, insieme alle baite e al verde. Fu così per il boom del secondo Dopoguerra, quando in valle nacquero i villaggi-vacanza di San Bartolomeo, di Sottochiesa, o a . E, proprio a Peghera, si arrivò anche ad aprire un impianto di sci alpino. Ma l'autorità religiosa non era proprio favorevole: «Quest'anno la villeggiatura porta quassù un nugolo di gente – scriveva il parroco di Vedeseta – molta immoralità nell'abbigliamento, donne in calzoncini e uomini seminudi, smanie di divertimenti e di ballo: la gente bada a spillar soldi al cliente, gli osti badano ai loro affari e lasciano che il curato gridi». Dopo il declino ora è l'Ecomuseo ad aver preso le redini del possibile sviluppo.

«La è quella giusta – dice Arrigoni – se si punta sulla valorizzazione del territorio e delle sue risorse, baite da recuperare, strade, tradizione casearia, agricoltura, ma di qualità. I numeri dello spopolamento sono impietosi, ed è così peraltro per tutta la montagna, ma restiamo ottimisti proprio guardando al passato. Ma nell'Ecomuseo ci devono credere tutti, non in due, tutti devono remare nella stessa direzione. La rinascita può avvenire unendo tutti i settori, economia, turismo e associazionismo».

Giovanni Ghisalberti – L'Eco di Bergamo

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