Valtorta – Niente Teletubbies, Pokemon o qualche altra strana forma televisiva. E neppure tante altre classiche maschere della tradizione, da Pulcinella ad Arlecchino, che forse, qui, invece, potrebbe avere motivo di rivivere. Il Carnevale di da secoli è fatto del mondo fantastico del bosco, di diavoli, elfi, uomini selvatici che, una volta all'anno – anziché essere solo raccontati come una volta nelle stalle dalle mamme ai figli – si incarnano in misteriosi personaggi dai volti spesso inquietanti. È la mitologia medievale della e del mondo contadino che, per un giorno (quest'anno il 25 febbraio), prende forma concreta. Ecco allora che per le strade compariranno magicamente i «furchetì» – figure demoniache con una forca in mano – altri personaggi con insolite maschere a cappuccio sormontate da corna, «ol diaol» e «l'homo selvadego ». Accanto a loro le figure della famiglia patriarcale rurale di un tempo: la «ègia» (nonna), il «vecio» (nonno), la «meda » (zitella) e «ol barba» (lo zio celibe).

Un Carnevale vero, solo in parte contaminato da cortei e maschere di oggi, che ormai poco hanno a che fare con il significato originario del tempo precedente le penitenze quaresimali. Lazzi, burle, il demonio che prende il potere e la licenziosità degli «uomini selvatici» ci ricordano come il Carnevale sia il tempo del ribaltamento sociale. È il mito 'uomo selvatico – mezzo uomo e mezzo animale che vive in simbiosi con la natura e libero da qualsiasi convenzione –, mito diffuso da secoli su tutto l'arco alpino, che qui rivive in alcune maschere, alcune delle quali significativamente fatte di pelli di capra e di legno.

E l'«uomo selvadego» è ancora presente proprio nei Carnevali del mondo alpino, trasfigurato in altre maschere. Lo stesso Arlecchino, che poco distante da Valtorta – a Oneta di San Giovanni Bianco – si dice avesse casa, ebbe tra le matrici originarie proprio l'«homo selvadego », raffigurato sull'ingresso della sua abitazione. Parte integrante per secoli della comunità di Valtorta – in alla Valle Stabina, e quindi isolata per epoche dal resto della valle – il Carnevale si era ormai perso, soffocato forse da mode meno genuine e più consumistiche.

Le grosse maschere in legno e le pelli di erano finite in soffitta. Ci ha pensato , sindaco «perenne » di Valtorta e ora presidente dell'Ecomuseo, a recuperare dall'oblio la tradizione che negli Anni Ottanta venne immortalata dalle foto di Rinaldo e Giorgio Della Vite. Immagini suggestive in bianco e nere che andarono in mostra anche al Museo nazionale delle arti e tradizioni popolari a Roma. Da una decina d'anni «furchetì» e «diaol» fuoriescono dai boschi e rivivono in strade e piazza di Valtorta. Sarà così anche il 25 febbraio, dalle 14, con l'accompagnamento degli «Alegher» di (altro paese dove rivive un Carnevale tradizionale). Valtorta, in diocesi di Bergamo, infatti, segue ancora gelosamente il rito ambrosiano che celebra il rito delle Ceneri la prima domenica di Quaresima.

Giovanni Ghisalberti – L'Eco di Bergamo

http://www.valbrembanaweb.com/valbrembanaweb/manifestazioni/febbraio_2012/carnevale-valtorta/index.html