SimonePianettiValle Brembana  – I soprusi, lo scontro con le autorità e i concittadini, il proposito di vendetta e il massacro, la fuga, il pentimento e il mistero della sua scomparsa. Domenica prossima saranno trascorsi cent'anni da quel drammatico 13 luglio 1914 quando Simone Pianetti uccise, in tre ore di follia, sette . Ma l'eco di quella strage ancora non si è spento in e, a distanza di un secolo, il nome del «giustiziere solitario» di Camerata Cornello è ancora usato da qualcuno – più per scherzo che con reali intenzioni — per mettere in guardia qualche «nemico»: «Arda che fö come ol Pianet!». Cent'anni dal dies irae, cent'anni di leggende, racconti macabri, romanzi, teatri, spettacoli di burattini, ma anche canzoni moderne per quella che è diventata «una fra le più appassionanti vicende della Belle Époque», ma anche «un enigma mai risolto». Così la definisce Denis Pianetti, pronipote di Simone (ovvero figlio del fratello Pasquale) che venerdì sera, all'oratorio di Camerata Cornello presenterà il libro sulla storia del suo antenato.

con i Savoia Pianetti, cinquantenne, è un ex emigrante ritornato dagli Stati Uniti a Camerata Cornello, suo paese natale, certamente terra più conservatrice rispetto agli States. Amico del politico liberale Bortolo Belotti e conosciuto come «cacciatore del re» per aver guidato le battute di dei Savoia, si sposò ed ebbe sette figli, con cui aprì una locanda dove si poteva ballare. Cosa che, nonostante la vicinanza di San in piena Belle Époque, iniziò subito a mettergli contro molti, a partire dal parroco. Ben presto l'osteria venne boicottata e gli affari iniziarono ad andare male. Si trasferì così a dove aprì un mulino elettrico, anche questo all'avanguardia per la valle. Ma pure qui la sua divenne la «farina del diavolo».

Il 13 luglio 1914 gli omicidi premeditati di sette persone, su una lista di una dozzina: c'era chi, come il medico gli aveva negato una visita al figlio, il segretario comunale che gli avrebbe impedito la candidatura a sindaco, altri per averlo sbeffeggiato o per aver boicottato locanda e mulino. Dopo gli omicidi Pianetti fuggì sui monti e – si disse – aiutato da parte del popolo e dalle autorità, riuscì sempre a farla franca, emigrando forse di nuovo in America. Secondo i familiari più stretti si suicidò, o forse morì presso il figlio Nino nel 1952, a 94 anni, a . La vicenda ebbe eco internazionale, ne scrissero giornali americani e australiani. E, subito dopo, sui luoghi dei delitti, iniziò anche un «turismo macabro», (con tanto di cartoline con foto del killer o dei funerali delle vittime). La famiglia emigrò nel Milanese e, da allora, nessuno dei discendenti è tornato. Nel 1915 Pianetti fu condannato all'ergastolo in contumacia ma la sentenza non è mai passata in giudicato e il processo è ancora oggi pendente (quindi anche l'ordine di cattura).

«Un Pianetti in ogni paese»
«Quella di Simone – scrive il pronipote Denis – è la storia di un uomo portato all'esasperazione da quei compaesani che egli vedeva come i rappresentanti di un potere ostile e ottuso, causa dei propri fallimenti». Giustiziere solitario o spietato assassino? «L'opinione pubblica si spaccò su queste opposte interpretazioni – continua Denis – al punto che su qualche edificio comparve la scritta “Viva il Pianetti, uno in ogni paese”. Intorno alla sua figura nacque una specie di mito e la fantasia popolare ne fece un perseguitato, un vendicatore. Ancora oggi, chi si sente oppresso dall'arroganza dei potenti invoca il Pianetti, proprio perché, pur essendo i tempi cambiati, quel leitmotiv di causa-effetto, è ancora di forte attualità. Ma la morale sancisce che non si ragiona con la vendetta e questa amara vicenda di un secolo fa può ancora far riflettere, oltre chi detiene il potere, chi vorrebbe “fare da Pianetti”, proprio per le conseguenze che derivarono dal quel tragico giorno: l'assassino si trovò a sua volta vittima, con l'eterno rimorso di aver rovinato la sua famiglia. Così come non si deve indulgere a giustificare l'efferatezza del suo gesto, nemmeno ci si deve prestare a demonizzarlo nell'immediato, essendo necessario comprendere la sua vicenda umana e andare alla ricerca delle più recondite ragioni che furono all'origine del suo desiderio di vendetta».

Giovanni Ghisalberti – L'Eco di