il nuovo libroIl ritrovamento di un manoscritto del 1823 fa riscrivere la storia locale. Non solo formaggio, stracchini e mucche: la fu anche terra ricca di tartufi, orzo, segale e allevamenti di capre. La sorpresa arriva da un manoscritto del 1823 ritrovato nella casa parrocchiale di Sottochiesa e trascritto in una pubblicazione da Arrigo Arrigoni, ex sindaco di , con la collaborazione di Osvalda e Giuseppe Musitelli. Il manoscritto dell'«agrimensore» Giuseppe Locatelli, dal titolo «Cenni, ed osservazioni sulla Vallata di Taleggio», e il nuovo libro, arricchito di migliaia di annotazioni, sono stati presentati, in un incontro affollato, al ristorante «Dell'Angelo» di Vedeseta.

Il prezioso volume – 360 pagine che, di fatto, riscrivono la storia della Valle Taleggio – è stato ritrovato, lo scorso anno, dagli storici Giacomo Calvi e Gabriele Medolago in un armadio della parrocchia di Sottochiesa, abbandonato da una ventina d'anni. È uno dei pochissimi testi salvatisi dall'incendio dell'archivio di Pizzino durante la Seconda guerra mondiale. Un testo spesso citato dagli storici, ma dato ormai per smarrito, che fotografa in maniera nuova la valle a inizio Ottocento. Una valle, naturalmente, di agricoltori e allevatori. Ma così si scopre anche che gli abitanti non vivevano di solo formaggio.

«Taleggio e Vedeseta erano terre ricche di orzo, grano, segale, lumache e persino tartufi – ha spiegato Arrigoni durante la presentazione del libro –. Curiose, proprio a riguardo della presenza di tartufi, le invettive dell'autore Locatelli contro quelli che definisce “meridionali”, probabilmente dei paesi del fondovalle: arrivavano a Taleggio e Vedeseta con cani e zappe setacciando la terra alla ricerca del prezioso tubero, a quanto pare particolarmente diffuso in valle. E si lamenta dicendo che, di questo passo, i tartufi scompariranno. Così è stato».
Dal libro di Locatelli arriva poi la conferma di un detto popolare, che fa derivare il nome «stracchino» dalle vacche «stracche» (stanche).

«In valle all'inizio dell'Ottocento c'era quello che veniva chiamato formaggio di monte – ha spiegato Arrigoni – perché prodotto e curato in alpeggio. Poi c'era un altro tipo di formaggio, prodotto sia dai residenti sia dagli allevatori che facevano transumanza: era il cosiddetto “stracchino quadro” che si faceva dopo la discesa dall'alpeggio, quando gli allevatori rientravano o si fermavano in paese per poi raggiungere la pianura, se provenivano dalla Bassa. Quindi veniva prodotto mentre le mucche erano in movimento, quindi stanche, “stracche” appunto. Da qui sarebbe derivato il nome di stracchino».

Ma il libro di Locatelli della Lavina riporta «tradizioni, valori, economia, religione – come ha sottolineato Osvalda Quarenghi – che d'ora in poi costituiranno base imprescindibile su cui scrivere la storia della nostra valle».

L'Eco di Bergamo

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