Quando mi sono trasferita dalla polverosa provincia di per approdare a Blello, i miei ormai ex amici hanno scommesso sul fatto che non avrei resistito più di un paio d'anni, poi, pentita, avrei buttato via le camicie di flanella per tornare a fare la “sciuretta” di città con i maglioni firmati e i tailleur. Puntualmente, ogni anno sono rimasti delusi. La vita a Blello si è srotolata con le sue gioie e i suoi dolori, come da qualsiasi altra parte del mondo.

Il lavoro ha subito un'accelerazione che mi ha lasciata senza fiato, rubandomi spesso il tempo a disposizione per fare marmellate e per raccogliere erbe. Andarmene dal paese, anche solo per qualche giorno, salire su un aereo, vedere gente, fare conferenze, viaggiare, sono diventati faticosissimi. Un tempo, quando vivevo a Milano, ero orgogliosa della mia vita, sorridevo compiaciuta di me stessa quando la gente mi riconosceva per strada e mi domandava l'autografo su un libro. Poi, il pensiero di dover lasciare i miei monti, privarmi del rituale quotidiano di bere latte caldo alla sera, il latte della Caterina, munto la mattina e subito bollito nel pentolino, dividendolo con i gatti, è diventato quasi insopportabile.

Mangiare insalata che sa di plastica, dormire in camere piccole, con i vetri chiusi perché il rumore della vita è insopportabile, respirare aria che sa di gas, e non vedere mai le stelle perché oscurate dall'inquinamento luminoso sono diventati una penitenza. Così ho ridotto il volume di convegni e conferenze. starsene in mansarda, con due maglioni, tra i libri, con un gatto che ronfa e ogni tanto passeggia sulla tastiera del computer, scendere a farsi un tè, prendendo l'acqua che è sempre calda perché tengo il bollitore sulla stufa economica che mi scalda la casa, scendere a fare provvista di legna prima che faccia buio, mordere una prugna colta dall'albero, buttare una manciata di grano alle galline, piuttosto che soffocare tra lo smog. I soldi? Sono lo sterco del demonio. Una volta che vi è il sufficiente nel piatto, il resto sono solo inutili pretese umane.

Il mio ex compagno ha deciso che il pane fresco e il giornale tutti i giorni erano fondamentali nell'economia del suo universo, ed è tornato a vivere in città. La riduce all'essenziale ogni cosa. Screma le inutili pretese della vita. Così ho capito un'altra grande lezione: non si può vivere lontano dal luogo che si ama. Lui non è riuscito. Ora è felice, in città, con le sue cravatte colorate, i ristoranti dove può gustare i suoi piatti vegetariani e macrobiotici, la sua bici supertecnologica con la quale fa la gimkana tra le macchine e le moto, la gente che si trova a bere l'aperitivo al bar alle cinque, il cappuccio spumoso alla mattina, i tram che sferragliano per portarlo in giro, i musei, le conferenze stampa piene di gente che ha la puzza sotto al naso.

La vita è un cerchio che gira. Ho trovato un altro compagno che ama altre cose. Uno che passeggia nei boschi e riesce a respirare il profumo della pineta, uno che ha negli occhi il riflesso dei laghetti delle nostre Orobie, che ama la e il coniglio con i , che mangia il pane di patate di Carona con la gioia nello sguardo come un bimbo, uno che veste con le camicie a scacchi e gli scarponi, che si sente libero guardando il cielo nel quale volano le poiane, uno che mi aggiusta il cancello rattoppandolo con pezzi di rete perché i cani non escano dal recinto, uno che si ferma con me le notti d'estate sul balcone a guardare le stelle.

Nulla è eterno, e forse un giorno anche lui se ne andrà, ma mi resterà sempre nel cuore la consapevolezza di avere diviso con lui alcune cose che per me sono essenziali: il profumo della legna che arde nel camino, il nocino fatto con i malli del campo grande, il sapore del latte appena munto, il sudore che cola a rivoli lungo la schiena quando cammini in , lo sguardo che vaga sulla cresta verso Sant'Antonio Abbandonato, il silenzio della notte lungo la strada che va a Gerosa, lo stupore di guardare i fuochi d'artificio a Berbenno, abbracciati sotto a una pianta di noccioli.

Se anche dovessi perdere queste emozioni, sarò comunque felice perché le ho vissute.
Mio padre, recentemente, se ne è andato, lasciandomi un vuoto incolmabile, riempito solamente da problemi pratici. Il mio amato gatto Ciccio, che ha vissuto sul mio cuscino per 19 anni, riposa sotto il rosmarino, e nuovi amori si sono affacciati alla mia vita: caldi, pelosi, coccoloni.

In occasione del mio compleanno, due giorni prima di Natale, ho rivisto vecchi amici dei tempi dell'università, e tutti, sogghignando, mi hanno detto: “Bene, questo è il settimo anno. In ogni matrimonio c'è la crisi. Quando divorzierai da Blello?” Non so se esista un matrimonio che può durare per sempre, ma il mio, con i monti, dura. E felicemente, anche se con qualche difficoltà. Quando aspettavo per ore che un liquido giallognolo in una flebo cercasse di uccidere il cancro che mio padre aveva in bocca, guardavo fuori dalla finestra del reparto oncologico.

Vedevo gli autobus arancioni di Milano, le strade polverose e grigie, i con le parabole, i cani al guinzaglio, i grandi manifesti pubblicitari, le macchine parcheggiate ovunque e pensavo ai miei monti. Pensavo al verde delle foglie nuove del faggio davanti a casa, ai polloni dei lamponi che, ribelli, crescono ovunque, al sapore dell'acqua che viene dalla sorgente di Blello, all'odore inconfondibile che il fuoco di legna lascia sui vestiti, al silenzio ovattato della mia casa, d'inverno, la notte, quando rimango a leggere seduta sul divano, davanti al camino. A Blello anche il cancro sembrava meno cancro. A Blello la vita sembra più vita.

Non più facile, questo no. Ma più vera. Più forte. Più… saporita….

Laura Rangoni