La superficie si frammenta e i corpi più piccoli spariscono. Ma il freddo delle ultime stagioni offre qualche speranza. Qualche mese fa, al 14° «Alpine glaciology meeting» di , era emerso un dato in apparenza, ma solo in apparenza, positivo. Si riferiva all'aumento tra il 1991 e il 2003 del numero dei ghiacciai lombardi: da 334 a 348. Ma non bisognava essere degli esperti per capire come questa crescita celasse in realtà un andamento negativo.

Il numero dei ghiacciai infatti aumenta solo perché la loro superficie si riduce, e quindi si frammenta. In termini assoluti un incremento, ma di fatto solo il preludio alla loro definitiva scomparsa. Un acuto prima del requiem, insomma.

La conferma dalle Orobie bergamasche, dove i pochi veri ghiacciai – ne sono rimasti tre: Diavolo di Tenda, Trobio e Recastello – stanno già offrendo un anticipo di quanto nei prossimi anni accadrà anche sul resto delle vette lombarde. In particolare è il Trobio, in Valbondione, ad aver già compiuto o quasi la sua parabola.

«A partire dagli Anni Quaranta – spiega Stefano D'Adda, operatore del Servizio glaciologico lombardo, referente insieme a Riccardo Scotti per le Orobie – questo apparato si è smembrato nei tre corpi classici: Est, centrale e Ovest. Ma se fino al 1987 la fase di recupero ha consentito la loro sopravvivenza, da lì in poi è cominciato un periodo di pesante regressione. Che, nel 2007, ha portato alla perdita del Trobio centrale e lo scorso anno a quella del Trobio orientale. Al loro posto restano i cosiddetti “ghost glacier”, ghiacciai fantasma. Anche il Trobio Ovest non gode di buona salute: rispetto alla sua espansione massima, quella raggiunta nella seconda metà 'Ottocento, ha ridotto la superficie del 70%».

Non è una novità, naturalmente: «Si tratta di un processo tipico delle fasi di deglaciazione – aggiunge D'Adda –. Quando gli apparati riducono i loro spessori e i loro areali, affiorano le rocce, i diaframmi di pietra e quindi la superficie glaciale si spezza. A questo primo stadio di frammentazione ne segue solitamente un secondo che determina la scomparsa dei corpi glaciali più piccoli, e quindi un'ulteriore suddivisione». E infatti ciò che negli ultimi quarant'anni è capitato sul Trobio, ormai sta diventando un leitmotiv un po' su tutte le . Lo scorso anno, tanto per citare un esempio fresco fresco e non troppo lontano, anche il ghiacciaio di Porola, a Nord del pizzo omonimo, sulle Orobie valtellinesi, si è rotto in due, mentre quello di Scais, sullo spartiacque tra regione abduana e seriana, ha registrato la sua seconda separazione, dopo la prima risalente al 2004. Insomma, tempi duri per i giganti di ghiaccio.

Eppure, almeno sulle Orobie bergamasche non tutto è perduto. Proprio la morfologia di questa catena, caratterizzata dalla presenza di pochi autentici ghiacciai, da qualche glacionevato (Diavolo di tenda Ovest, Redorta inferiore, Coca superiore e Morta) e da una miriade di minuscoli apparati da accumulo, alimentati cioè dalle , gioca a favore della loro sopravvivenza.

«All'interno della fase estremamente negativa vissuta a partire dal 1987 – spiega ancora l'operatore del Servizio glaciologico lombardo –, nell'ultimo decennio abbiamo vissuto almeno cinque stagioni positive: 2001, 2004, 2008, 2009 e presumibilmente anche il 2010. Una sequenza preziosa soprattutto per gli apparati più piccoli, che per la loro collocazione ed esposizione in genere beneficiano particolarmente del maggiore accumulo e soprattutto del fatto che il bilancio sia positivo per più stagioni di seguito».

Per l'ennesima controprova bisognerà attendere ancora qualche mese. Il clou, dal punto di vista glaciologico, è proprio la stagione estiva. Che quest'anno, sempre restando nella prospettiva dei ghiacciai, ha avuto un buon inizio, con temperature fresche associate ad abbondanti precipitazioni. Una boccata d'ossigeno, in uno scenario ormai decisamente asfittico.

Emanuele Falchetti – L'Eco di