A la erità i gh'è crèt in póche; invéce a i bale …
Gli storici più considerati ritengono che i Colleoni prendano il nome da Gisalbertus Attonis detto “Il Colione”, che discendeva da un ramo della famiglia Suardi. Essi erano giudici e notai che coltivavano assiduamente i rapporti con la Chiesa ed erano ben inseriti in una che, come tutte le comunità 'epoca, partecipava, tra il XI e XII secolo, a quel movimento sociopolitico che vide il prevalere del Comune sul Feudo, il prevalere cioè della nuova società, la borghesia, sulla società feudale.

Il cognome Colleoni ha un'origine “volgare” e molti decenni prima della nascita di Bartolomeo la famiglia aveva già il notissimo stemma troncato, che non raffigura dei cuori, come voleva credere lo storico Bortolo Belotti, ma due scroti bianchi in campo rosso nella parte superiore e uno scroto rosso in campo bianco nella parte inferiore. È appena il caso di accennare, e senza intenti irriverenti, all'orgoglio che Bartolomeo dimostrò nell'uso del proprio patronimico Coglione tanto che lo stesso Bartolomeo talvolta si firmava con l'espressione latina “Colionus”.

Qualcuno, più tardi, cercò di dargli un significato diverso da quello letterale ipotizzando una derivazione mitologica del tipo cum lione o caput leonis, da cui per sintesi fonetica si sarebbe arrivato a Colleoni. In realtà, però, in tutti i documenti ufficiali fu sempre usato il termine Coleus vale a dire Coglione ! Il condottiero era talmente orgoglioso del proprio cognome da farne il temuto grido di guerra “Coglia, Coglia” cioè “Coglioni, Coglioni” e da continuare a rappresentarli (tre paia di coglioni) nel suo stemma anche quando vi aggiungerà i gigli d'oro d'Angiò e le fasce di Borgogna.

Era il Condottiero stesso che precisava in un atto pubblico che la sua arme gentilizia era quella che esibiva: « duos colionos albos in campo rubeo de supra et unum colionum rubeum in campo albo infra ipsum campum rubeum» che, araldicamente, significa : troncato d'argento e di rosso a tre paia di coglioni, dall'uno all'altro. Bartolomeo usava il proprio nome ed il proprio stemma con naturalezza ed orgoglio, tanto da farlo rappresentare in bassorilievo persino sul sarcofago della figlia Medea. (Mentre secondo alcuni autori, Bartolomeo Colleoni era affetto dalla patologia nota come poliorchidismo, ossia la presenza di un testicolo soprannumerario, secondo altri ciò fa parte della leggenda perchè l'uso dello stemma da parte delle donne di famiglia dimostrerebbe l'assenza di alcuna relazione tra l'origine dell'emblema ed una supposta anomalia fisica di Bartolomeo.)

L'altro noto stemma del Colleoni, quello suo personale, che possiamo vedere sulla della casa di Bergamo e sugli edifici da lui fatti realizzare negli ultimi anni della sua vita (la casa di Martinengo, il chiostro dell'Incoronata, le terme di Trescore, la cappella Colleoni, la Basella di ) si compone invece di due teste di leone contrapposte con le fauci spalancate unite da due bande d'argento su fondo rosso. Caratteristico di famiglie italiane di origine napoletana o spagnola questo emblema (stemma Colleoni d'Angiò) fu concesso da Renato d'Angiò col privilegio del 14 maggio 1467, quando assunse il Colleoni nella sua casata, consentendogli di inserire dei gigli d'oro su campo azzurro nella
parte alta e di aggiungere al cognome il titolo “d'Angiò”.

Ciò grazie alla “raccomandazione” della non più giovane regina Giovanna d'Aragona di Napoli la quale, rimasta colpita dalla prestanza fisica di Bartolomeo I bale di bale del Coleù A la erità i gh'è crèt in póche; invéce a i bale … quando questi militava nelle fila del suo esercito, intrecciò una relazione con lui … “Fuit Coleo corporis statura erecta atque habili, adeoque formosus et agilis, ut regina Joanna ingenio procaci mulier, avidaque virorum fortium, Coloni amore caperetur …” secondo Paolo Giovio, vescovo di Nocera.

(Bartolomeo Colleoni infatti iniziò la sua carriera militare, come scudiero, all'età di 14/15 anni presso Filippo Arcelli signore di Piacenza. Nel 1424 era, al servizio del condottiero Jacopo Caldora, al comando di una squadra di 20 cavalieri. Con il Caldora entrò nella corte di Giovanna II di Napoli dove inizia la sua carriera di condottiero, per la protezione della regina, che gratifica il soldato forte e spigliato col quale intratteneva una relazione sentimentale
… ) La composizione che figurava sugli stendardi, sulle armi era costituita dall'unione dello stemma personale
di Bartolomeo Colleoni con quello familiare. A proposito dello stemma di Solza, questo fu inciso in un blocco di pietra arenaria e murato nella cinta difensiva in prossimità dello spigolo sud-est, in occasione della concessione al Colleoni dell'investitura feudale di Palosco e di Solza del 1465, in aggiunta a quella già accordata il 14 agosto 1454 su Martinengo, Cologno e Urgnano.

L'anomala posizione dell'insegna si potrebbe spiegare con la volontà di dichiarare a chi percorreva la che da Medolago conduce a Calusco, non solo l'appartenenza del (che in quel periodo era una costruzione cadente), ma anche il dominio del Colleoni sul territorio di Solza. Oppure potrebbe anche indicare la volontà del Condottiero di riconoscere nel rudere il luogo dei suoi natali. Negli anni attorno al 1470, Bartolomeo iniziò poi un'opera di trasformazione in residenza del castello, opera che però non concluse. All'interno della rocca non compare alcun altro cartiglio, decorazione o stemma riconducibile a Bartolomeo o alla famiglia Colleoni.

e dóca:
Ve sigüre che ghè sére mia ma gh'è scricc
che a chi tép gh'éra ‘ntùren la storièla che ‘l Coleù a l'gh'éra adritüra tri cuiù.
Segónt mé ol balusù a l'lasàa dì perchè l'éra capit che l'ghe guadegnàa …
E chèsta menada l'è ‘ndacia ‘nacc per sich sècoi e ach al dé de ‘ncö gh'è amò chi che i
a bif. Se però s'varda bé i stèmi del Coleù sö la sò gran bèla Capèla de màrmor rösa in
Sità Ólta, sö i tace quàder e léber che i a ripórta, gh'è mia sö tri cuiù ma sés cuiù, a du a du ‘n del sò sachelì !
Alura, a méno de próe contrare, ol stèma de famèa al poderès mia rapresentà i tri antenàcc, per esèmpe fradèi, de “cognòm”
Coleù, e che i à fondàt ol casàt ?
Difati amò ‘ncö a Bèrghem de Coleù (nel senso de cuiù) gh'è n'è mia póch …

G. Maria Brignoli – tratto dall'Annuario C.A.I. Alta Valle