Scanzi Giovanni (Genova 1840-1912) scultore, di famiglia originaria di Antea (frazione di San Pellegrino Terme): personaggio ben noto a Genova, e quasi sconosciuto a San . Ha contribuito a farci scoprire questo artista il nostro concittadino Camillo Manzoni, il quale da parecchi anni risiede a Genova, dove ha effettuato parecchie ricerche sullo scultore. In realtà colui che per la prima volta ci parlò dello Scanzi fu G.Pietro Galizzi nel suo libro e la Valle edito nel 1971. Un'altra recensione è apparsa su Percorsi a cura dello scrivente, edito dall'Amministrazione Comunale nel 2000.

Riporto anche alcune notizie tratte da uno scritto del giornalista Antonio Cappellini nel 1940 ad integrazione di quanto già noto: lo Scanzi fu allievo di Santo Varni, si dilettò ad imitare lo scultore Vincenzo Vela, frequentò l'Accademia Ligustica e perfezionò i suoi studi artistici a Roma. Prove non dubbie del suo valore furono due gruppi di figure in tutto tondo raffiguranti il Rapimento di Elena e Bacco che scherza con una capra. Il primo gruppo rappresenta Elena e Paride in grandezza naturale, sul tipo delle opere greche, e dimostra eccellenti doti nel modellare il nudo. Il secondo, alquanto particolare e grazioso, rappresenta lo slancio della capra che tenta di prendere un grappolo d'uva tenuto dal dio Bacco.

La maggior parte delle sue opere si trovano nel cimitero di Staglieno, a Genova. Infatti le più facoltose famiglie genovesi (Carpaneto, Carena, Falcone, Ghilino, Casella e Piaggio) commissionarono i propri monumenti funebri allo Scanzi. Si deve inoltre a questo nostro artista la colonna commemorativa della Spedizione dei Mille, situata sull'estrema punta del Ponte dei Mille da cui salparono, la notte del 5 Maggio 1860 i piroscafi Lombardo e Piemonte con a bordo Garibaldi e i Mille. Il monumento fu inaugurato il 5 Maggio 1910, quando l'artista entrava nel suo settantesimo anno di età.

L'ultima sua opera fu questa la riproduzione della Madonna delle Vigne, donata nel 1914 dai pellegrini Genovesi al Pontefice Benedetto XV. Lo Scanzi fu insegnante dal 1879 al 1892 all'Accademia Ligustica, alla quale fu molto legato, tanto che alla sua morte, nel 1912, lasciò a questa la somma di lire 504.167,45, una cifra per quei tempi considerevole.

Il padre di Giovanni, Antonio Scanzi, nato nel 1797 ad Antea, si trasferì a Genova da Antea come scaricatore di porto nella Compagnia dei Caravana. In questa Compagnia potevano lavorare solo nativi bergamaschi e, affinché un figlio potesse un giorno avere il diritto al posto di lavoro del padre, la moglie tornava ai luoghi di origine per poter partorire in terra . Risulta che ebbe in moglie Caterina, dalla quale ebbe cinque figli: Paolo, Angela, Michele, Giovanni e Carlo, tutti battezzati nella Chiesa della Consolazione. Sempre a proposito del padre Antonio, portiamo ora la nostra attenzione su una piccola opera che il figlio scultore volle dedicare proprio a lui, nel cimitero di Antea.

Si tratta di un piccolo monumento funerario, composto dal profilo di Antonio Scanzi in marmo bianco sormontato all'intorno da una corona in bronzo e corredato da un lungo epitaffio su marmo grigio, che lo scultore volle dedicare ad elogio del padre e che recita così: “Qui riposa nella sua terra Antonio Scanzi nato il 1797 e morto il 1867, dopo 50 anni che visse in Genova ove fu Console, Deputato, Cassiere della Caravana Bergamasca. Profondamente cristiano, ottimo padre di famiglia, onesto, pio, laborioso, ebbe in contraccambio amore e stima. Il figlio Giovanni, questo monumento di sua mano scolpito, alla cara memoria del genitore consacrava. 1875”. Questo monumento ha subito nel tempo vari spostamenti, inoltre il verde-rame della corona in bronzo è colato sul marmo bianco, per cui attualmente abbisogna di un restauro e di una collocazione in luogo più idoneo.

Grazie all'interessamento dell'associazione “Amici di S.Pellegrino” e nella persona della Signora Clelia Scotti Quarenghi, è stato sollecitato ed ottenuto l'intervento dell'Amministrazione Comunale, ed in particolare del Dott. Vittorio e del Sindaco Gianluigi Scanzi. Sarà così possibile recuperare e salvare un pezzo di cultura che testimonia non solo il talento artistico di un nostro conterraneo, ma pure il sacrificio di molti dei nostri predecessori, i quali dovettero emigrare in città lontane e seppero tenere alto il valore della loro arte e laboriosità.

Adriano Epis – Tratto dai Quaderni Brembani 7 del Centro Storico Culturale Valle Brembana