, oggi i festeggiamenti per il suo lungo ministero sacerdotale. Fu a Morterone, il paese più piccolo d'Italia. L'amicizia col cardinale Martini. Vedeseta«Il Signore forma il suo popolo. Il popolo forma i suoi sacerdoti». Don Piero Arrigoni è uno che parla molto lentamente. Dopo una vita di corsa per i suoi fedeli non ha alcuna fretta nel raccontare. Alle spalle ha 70 anni di sacerdozio, per certi aspetti vissuti in modo eroico, tra guerre, accuse subite, processi e lotte per far uscire dall'isolamento la sua comunità.

nel paese più piccolo
Di insegnamenti ne ha e ne avrebbe da dire. Eppure, per condensare in poche parole la sua vita da prete, si affida a una frase del cardinale Martini, amico di passeggiate in montagna. «Sono convinto che è così, il popolo forma i suoi sacerdoti», dice don Piero, 95 anni il prossimo 18 dicembre. Uomo e sacerdote dal carattere forte e combattivo: «Ho trovato nella mia vita – dice – che mi hanno aiutato a crescere in umanità e nel senso pastorale». E il «gregge» di cui fu guida spirituale e non solo, negli anni che più di tutti segnarono la sua vita, fu quello minuscolo di Morterone, nel Lecchese, appena sotto il Resegone, la più piccola comunità d'Italia, allora praticamente isolata, senza e luce. Oggi, la sua parrocchia d'origine, Vedeseta, in , lo festeggerà per 70 anni di vita sacerdotale.

E con lui ripenserà a quella storia un po' straordinaria, vissuta a pochi chilometri di distanza (Vedeseta e Morterone sono confinanti), scritta in decine di pagine ma che lui vuole siano pubblicate, «se degne», solo dopo la sua morte. Una storia iniziata lo stesso giorno, il 3 giugno 1939, che il cardinale di Alfredo Schuster lo fece prete (Vedeseta era allora sotto la diocesi ambrosiana). «Poche ore dopo ricevetti la nomina per Morterone. L'avevo già saputo e ricordo che mi affidai al Signore: “Fammi la grazia di starci volentieri, altrimenti fammi morire”».

«D'altronde il mio predecessore ci restò esattamente quanto Gesù Cristo nel sepolcro e poi chiese di andarsene, mentre il parroco di prima lo vidi piangere perché obbligato a rimanerci dieci anni». Don Piero, a Morterone, arrivò il 17 giugno 1939 a dorso di mulo e ci rimase 11 anni e mezzo: era un paese isolato, senza collegamento stradale, senza luce e maestre. Lui, oltre a fare il parroco, fece da insegnante elementare, messo comunale e pronto soccorso medico, portò la luce e la strada. E, durante la guerra, nascose i partigiani in casa. «Morterone – ricorda don Piero, con mente ancora lucidissima – era un insieme di sparse. Qui c'erano famiglie con 16 figli ma mancavano le insegnanti. Decisi di prendere il diploma di maestro e, mattina e pomeriggio, mi misi a insegnare». Ai bambini e anche a qualche adulto, fino a 52 alunni.

«Ho vissuto e vivo con gioia»
Arriva la guerra e il parroco nasconde i partigiani. Siamo nel 1943 e don Piero si vede circondata la casa, i tedeschi gli puntano il mitra in faccia ma lui riesce ad evitare il peggio facendo credere di simpatizzare per i repubblichini. Durante quegli anni deve anche subire quattro processi, una volta con l'accusa di aver trafugato 300 mila lire dai rifornimenti che venivano lanciati dai paracadutisti sul paese, divenuto base alleata. Vinse il processo. Poi, nel 1985, dal cardinale Martini riceverà la medaglia d'oro per «l'opera svolta nella guerra di liberazione».

Da Morterone don Piero viene trasferito a Burago Molgora, oggi in provincia di Monza. «Qui vissi le parole del cardinal Martini: grazie ad alcune persone completai la mia maturazione umana e sacerdotale». Un giorno don Piero difende dal pulpito il figlio di un comunista. Il suo impegno, forse, diventa scomodo per il prefetto di Milano. «Dal cardinale Montini (il futuro Paolo VI) arrivò l'ordine di trasferimento – ricorda don Piero -. Scesi da lui, chiesi se quelle erano veramente le sue parole e perché non avesse voluto sentirmi prima di prendere una decisione. Lui abbassò la testa e chiese scusa, dandomi un grande esempio di umiltà e santità. Come feci, quel giorno, ad affrontare un uomo di tale grandezza non lo so ancora. So solo che sulla verità non scesi mai a compromessi anche con chi era molto sopra di me».

Oggi don Piero vive a Caglio, in provincia di Como, ma ha già fatto sapere che vorrà essere sepolto nella sua Vedeseta dove, dice «in questi giorni torno forse per l'ultima volta». Lo scorsa primavera, insieme ad alcuni parrocchiani e all'ex parroco di Vedeseta don Massimo Maffioletti, ha fatto visita al cardinale Martini, a Gallarate. «In pratica un mio monologo – dice don Piero – perché lui era senza voce e io, un po' sordo, non capivo nulla. Così ho parlato solo io. Ma lui ha ascoltato tutto con interesse. Perché un prete, quando diventa vecchio, si fa tante domande a cui non sa rispondere». Don Piero, uomo della memoria. «Ho sacrificato la mia giovinezza, tra mille difficoltà e battaglie – dice – e il ricordo mi fa soffrire. Ma ho vissuto e vivo con gioia. Grazie a Dio». Don Piero sorride e ci saluta. E si vede che, nonostante tutto, è un uomo-prete contento.

Giovanni Ghisalberti – L'Eco di Bergamo