La sopravvivenza sulle Orobie della Linaria bergamasca dipenderà anche dalle decisioni di Copenhagen. La Linaria è un fiore rarissimo, che si trova solo sulle nostre montagne. Vi arrivò con le ultime grandi glaciazioni e quando i ghiacciai si ritirarono trovò sulle Orobie un ambiente e un clima che le consentirono di sopravvivere.

La Linaria (foto a fianco), come anche la Sassifraga della Presolana e il Galio del monte Arera assieme ad altri fiori delle Orobie riconosciuti come endemici, ossia presenti solo e unicamente in un'area limitata, sono specie a rischio. Per la loro rarità sono compresi nella «lista rossa» italiana, quasi guardati a vista non solo dai botanici ma anche da chi ha la responsabilità della loro tutela.

«Questo è uno dei nostri obiettivi principali – sottolinea il presidente del Parco delle Orobie Bergamasche – ossia preservare la biodiversità in un territorio così importante e delicato come quello del parco». Un compito non facile tenuto conto dei mutamenti climatici in corso e anche perché le montagne bergamasche sono in prossimità di aree estremamente urbanizzate. Ma che siano stati compiuti progressi nel miglioramento delle condizioni ambientali non c'è dubbio. Un simbolo sicuramente è la comparsa dell'orso. Ha fatto discutere anche per i danni causati dalle sue scorribande ma è stato un evento storico. Se ne sono perse le tracce, tuttavia non è da escludere che stia trascorrendo il letargo nelle nostre Prealpi. Così pure per quanto riguarda il lupo. E ci sono anche le condizioni perché prima o poi vi faccia la sua comparsa anche la lince».

Esteso su una superficie di 70 mila ettari, il parco si affaccia su un territorio tra i più antropizzati d'Italia. Con i suoi nove milioni di abitanti e le sue aziende la Lombardia è una delle regioni europee con maggior densità di cemento e di asfalto. I tassi di inquinamento sono elevati, con livelli di smog che regolarmente superano i segnali d'allarme. Se si considera che la maggior concentrazione delle aree urbane si ha in pianura, ci si rende conto del valore strategico delle zone montane. Non solo per gli alpinisti, ma come «riserva» ambientale e naturalistica alla quale attingere per qualità della vita, benessere, spazi dove ritrovarsi e ricrearsi.

Messi da parte i divieti e i vincoli totali che in origine avrebbero dovuto costituire lo scheletro del parco, e sui quali il parco, a suo tempo, corse il rischio di fare naufragio, ora la gestione di questo patrimonio si è spostata dal «no, non si può» alla concertazione. È il termine al quale ricorre più volte il presidente Grassi quando parla dei rapporti con gli amministratori dei 40 Comuni compresi nel perimetro del parco.
La Val Sanguigno è uno dei poli del programma di valorizzazione turistica delle Orobie che si concentra su alcuni elementi di forte richiamo. E di turismo, componente sempre più importante per l'economia montana, non si può certo fare a meno. Gli altri poli sui quali il Parco concentra la sua attenzione sono le cascate del Serio (arrivano richieste anche dal Giappone per sapere quando sono aperte) e le antiche miniere, che assieme possono «fare sistema».

Anche il monte Arera è un polo turistico al quale il presidente Grassi attribuisce molta importanza. «Il e delle farfalle è un elemento di grande richiamo. Si sta studiando quali cespugli piantare per lo sviluppo delle larve di farfalle così da incrementarne la loro presenza sul sentiero». In questo ambiente di grande suggestione si colloca il progetto della «cattedrale verde», che sembrava doversi bloccare per la morte dell'artista, Giuliano Mauri. Spiega Franco Grassi: «I disegni sono stati ritrovati e l'opera può andare avanti». Un valore in più per la bella che Leonardo disegnò nel profilo delle Alpi lombarde.

E la strada sull'Arera? «Per me – sottolinea Grassi – non si poteva fare meglio. Il Parco non aveva strumenti per opporsi, mentre devo dire che, per quanto riguarda l', è una strada da manuale. E consente a tante persone di andare in luoghi che altrimenti non potrebbe mai vedere».

Pino Capellini – L'Eco di Bergamo