Taleggio – Dalla Valle alla Nato, passando per Francia e Svizzera. Sempre come boscaioli. È una storia di tre generazioni quella della famiglia Baroni di Sottochiesa di Taleggio, premiata sabato sera dal Comune con la targa «Fidelitas Talegii», in occasione dell'annuale «Festa del ritorno» (con la famiglia Baroni sono stati premiati, come campioni di skirunning over 50, anche Antonio Baroni e Marco Busi). «Tutto cominciò con nostro nonno, Giovanni, che mise in piedi l'attività – spiega Giovanni Baroni, 56 anni, nipote del capostipite –. Dopo di lui continuò a fare il boscaiolo papà Rosario, anche in Francia e Svizzera. All'inizio eravamo in sei. Oltre a me c'erano Vittorino (54 anni), Maurizio (52), Cesare (51), Bonfiglio (50) e Guglielmo (47). Poi Cesare e Guglielmo hanno cambiato lavoro».

Bonfiglio è il più spericolato del quartetto: «È lui quello che sale in cima alle piante e le pota con lavoro meticoloso – spiega Giovanni –. Perché non siamo solo boscaioli ma sistemiamo anche giardini. Il 90% dei servizi sono svolti in valle, ma lavoriamo anche nel resto della provincia, uscendo pure dai confini lombardi per andare in Piemonte, Valle d'Aosta e Toscana». Ed è proprio qui che, 33 anni fa, i fratelli Baroni, Giovanni e Vittorino, andarono a lavorare in casa Nato. A Pisa, dal 1951, è aperta infatti la base militare statunitense di Camp Darby, il più grande deposito logistico del Mediterraneo, con circa 1.400 uomini.

«Il nostro è stato un lavoro di pulizia del territorio da erbacce e rovi, un territorio vasto, nove chilometri per nove – racconta Giovanni –. Eravamo impegnati per dieci ore al giorno, per ciascuno dei 33 giorni trascorsi laggiù. Per entrare nella base avevamo bisogno di due pass, uno per accedere alla caserma, l'altro per entrare nei sotterranei». Nella base, infatti, ci sono 125 bunker e si trova una riserva strategica per l'esercito statunitense. Collegato tramite una rete di canali al porto di Livorno, è base di rifornimento delle unità navali nel Mediterraneo.

«All'epoca erano pochi gli attrezzi che venivano utilizzati per un lavoro simile, motosega, seghetto e falce, che ci fornivano direttamente loro – conclude Giovanni –. Oggi le cose sono cambiate, ci sono tanti tipi di attrezzi. Di lavoro ce n'è ancora, nonostante il periodo un po' buio, ma la vita del boscaiolo è sempre più dura: il gasolio è aumentato, l'estero ci fa una grande concorrenza e poi è la che è sempre più difficile. Qui non siamo in pianura, dove con un attrezzo giusto fai mille quintali, qui se ne possono fare solo cento. In valle ci sono le strade tortuose, serve avere filo e teleferiche. E se piove non si riesce proprio a lavorare».

Silvia Salvi – L'Eco di

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